Stoccolma: le proposte per l’adozione internazionale del futuro. Ma la CAI non c’è

EURADOPTUna grande occasione per aprire al mondo intero le porte dell’adozione. Questo è stata la conferenza Euradopt 2014, svoltasi in questi giorni a Stoccolma, dove si è data appuntamento l’élite degli Enti accreditati europei per le adozioni internazionali. Tanti gli interventi dei relatori, intenso e interessante il dibattito. Spicca – e dispiacel’assenza della Commissione Adozioni Internazionali (CAI), in un contesto prestigioso nel quale altre autorità centrali non hanno voluto mancare. Da segnalare l’interesse con cui l’autorità centrale tedesca,  Gemeinsame Zentrale Adoptionsstelle (GZA) per l’area di Bremen, Hamburg, Niedersachsen
Schleswig-Holstein
, ha guardato all’esperienza dell’accoglienza dei bambini “special needs” da parte delle famiglie italiane.

Nella seconda parte del Convegno si registra la significativa la testimonianza di Mary Juseela, giornalista svedese nonché figlia adottiva, scrittrice e direttrice dell’Associazione Aiducatius. Mary ha anticipato alcuni brani del suo libro “The great homeland tour”, di prossima pubblicazione in lingua inglese, in cui ha evidenziato le difficoltà culturali nella percezione dell’adozione da parte della società nei paesi accoglienti. Mostrando la fotografia della sua famiglia ha chiesto ai presenti: “Questa è una famiglia ‘reale’? Ovviamente sì. Ma non va dato per scontato. Il processo di conoscenza reciproca che si innesca tra figli adottivi e patria accogliente, passa per molti pregiudizi, per le domande e affermazioni cliché: tu non appartieni a questa terra, torna a casa oppure da dove vieni realmente, per continuare con dove sono i tuoi genitori veri o sei contenta di essere stata adottata.”

Domande che possono apparire “innocenti”, ma che innescano nel bambino e nella sua formazione l’esigenza del viaggio interiore alla ricerca della propria identità: “Sono un figlio adottivo cattivo se mi chiedo  da dove vengo? A chi appartengo? Chi sono io?

Da più parti, nel corso del convegno, sono emerse le sfide che una famiglia adottiva si trova ad affrontare e in cui gli operatori devono dare supporto: dalla considerazione degli aspetti emozionali, al valore della scuola, del cibo, ai possibili conflitti tra fratelli, alla percezione della comunità, al valore della preparazione delle famiglie prima durante e dopo l’adozione, alla comprensione di chi è il bambino adottivo, che spesso arriva all’adottabilità dopo lunghi ritardi di procedure.

Molti gli spunti e le sfide lanciate dai relatori per ridisegnare l’adozione: superare i pregiudizi, ridurre i tempi per la dichiarazione di adottabilità, aumentare il numero delle famiglie disponibili ad accogliere i bimbi così detti special needs, supporto del figlio e della famiglia adottiva nella ricerca dell’identità e della stabilità familiare, supporto degli stessi genitori biologici attraverso una cooperazione adeguata, definire gli ambiti di applicazione dell’affido, temporaneo, e dell’adozione, scelta ultima e stabile.

Laura Martinez-Mora, Assistente legale principale presso HCCH (Hague Conference on Private International Law) si è pronunciata sullo stato dell’applicazione della Convenzione dell’Aja del 1993 e sulle prospettive di implementazione nell’applicazione della Convenzione: “Per quanto concerne i paesi d’ingresso dei minori, è necessario dare un messaggio chiaro a chi adotta circa la realtà dell’adozione internazionale, favorendo un percorso di accompagnamento prima, durante e dopo l’adozione. Per i paesi d’ingresso è necessario, a mio avviso, rispettare le necessità degli stati di origine, evitando pressioni che potrebbero rivelarsi controproducenti.”

“La realtà – ha proseguito Martinez-Mora è che i numeri delle adozioni sono in decrescita e c’è un grande interesse nella ricerca di nuovi Paesi o di nuova cooperazione. Bisogna avere rispetto dei paesi di origine e della loro capacità di implementare la Convenzione dell’Aja, senza operare controproducenti pressioni. I paesi d’origine devono avere la consapevolezza e il coraggio di implementare i sistemi legislativi con leggi chiare, per valorizzare i paesi di accoglienza che meglio preparano le coppie e meglio rispondono alle loro istanze. La convenzione non stabilisce l’obbligo di lavorare indistintamente con tutti i paesi, ma di operare scelte di qualità.”

“Due elementi – ha precisato la legale di HCCH – stanno pesando sul calo delle adozioni internazionali: il primo, che può essere definito un ‘buon motivo’, è da identificare nel fatto che alcuni Paesi di origine hanno buone capacità di supportare le famiglie, per questo i bambini restano nelle loro famiglie biologiche. Inoltre, questi Paesi sono stati capaci di sviluppare l’adozione nazionale per quei bambini che non possono essere allevati dalle famiglie biologiche. Il secondo motivo, negativa, risiede nel traffico di bambini e negli abusi che hanno indotto i paesi a chiudere sulle adozioni, questo ha pesato sulla reputazione dell’adozione.”

Nigel Cantwell, Consulente internazionale per le politiche di protezione dei minori, ha individuato tre livelli di azione per la realizzazione “dell’interesse esclusivo del minore”: a livello di politiche e legislazioni, nel processo adottivo, e a livello individuale, contrastando l’arbitrarietà con cui spesso sono assunte le decisioni sull’adottabilità e sulla condizione dei minori.

Sull’eccessiva onerosità economica dell’adozione internazionale non ha avuto dubbi Laura Martinez-Mora: “Una nuova nota sulle questioni finanziarie in tema di adozioni internazionali, è stata redatta da un gruppo di esperti di diversi paesi di origine e di accoglienza. L’Italia è membro di questo gruppo. E’ fondamentale affrontare le sfide ed elaborare strumenti tecnici per l’imputazione dei costi delle adozioni internazionali, alfine di ottenere una reale trasparenza dei costi e in futuro una più contenuta onerosità, cercando di quantificare i costi delle adozioni in ciascun paese. Intendiamo stilare una lista di buone pratiche – ha precisato Martinez-Mora – per ottenere in futuro delle linee guida da seguire per la trasparenza e l’omogeneità dei costi delle adozioni internazionali.”

Angelo Moretto, Chair uscente, in carica nel biennio 2012-2014, ha sottolineato che tante sono le questioni aperte a fronte di una crisi globale dell’adozione, ma che il futuro di questo strumento va inserito in una più ampia concezione di “welfare a misura di bambino”, richiamando quanto ben detto dal colombiano Gonzalo Gutierrez Lleras, Direttore della Fondazione CRAN: “soltanto l’1% dei 70mila minori fuori famiglia colombiani viene accolto in adozione. La maggioranza dei minori fuori famiglia viene reintegrato nella famiglia d’origine in modo automatico, senza verificare la rimozione degli ostacoli per i quali è stato allontanato dalla famiglia d’origine. Serve lavorare a livello internazionale e coordinato, per consentire ai bambini di vedere soddisfatto il loro diritto di avere una famiglia.

“L’interesse superiore del bambino – ha concluso Gutierrez Llerasè troppo spesso un concetto astratto, di cui ci si riempie bocca, ma che resta sostanzialmente ignorato. Il punto di partenza per ottenere un effettivo interesse del minore deve fondarsi innanzitutto sul ‘rispetto’ del minore.”

Sul futuro dell’adozione si è pronunciata esaustivamente Laura Martinez-Mora: “Per il futuro, diviene fondamentale focalizzarsi sui bambini più grandi e su quelli che hanno problemi di salute, offrendo una migliore preparazione alle coppie, operando una migliore comunicazione e rispettando i paesi di origine mediante la valorizzazione, non tanto quantitativa, quanto qualitativa delle adozioni.”