Stop alle classi-ghetto. L’inclusione di alunni svantaggiati è una risorsa anche per i più bravi.

A scuola, l’inclusione dei soggetti più svantaggiati (stranieri, deprivati culturalmente ed economicamente) paga. E, oltre a costituire un’occasione per questi ultimi, fa addirittura migliorare le performance degli alunni ‘più bravi’ o fortunati. A sostenerlo è l’Ocse – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – nell’ultimo dossier che rielabora i dati del Pisa 2015: il Programma che valuta le performance in Lettura, Matematica e Scienze dei quindicenni di mezzo mondo.

Gi studiosi dell’Ocse rispondono alla domanda “La qualità dell’apprendimento e i risultati si abbassano quando l’istruzione si estende agli studenti svantaggiati?”. Si riapre, così, la polemica sulle classi-ghetto lanciata un paio di mesi fa dal maestro e scrittore Franco Lorenzoni che ha scritto alla ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, per stigmatizzare l’abitudine di creare classi composte da allievi più attrezzati, lasciando che i meno fortunati si accomodino nelle cosiddette classi-ghetto. Lettera che ha sollecitato l’immediata risposta della stessa Fedeli la quale ha invitato gli addetti ai lavori ad iniziare “dalle periferie, dove le scuole possono diventare avanguardie di sperimentazione educativa“.

Una tendenza, quella di creare classi-ghetto, che interpretando i risultati dei test Invalsi (sulla variabilità delle classi) al Sud è quattro volte superiore al valore fisiologico. Per comprendere come funzionano le cose, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha confrontato i dati dei test Ocse-Pisa di alcuni Paesi (Albania, Brasile, Colombia, Costa Rica, Indonesia, Giordania, Messico, Turchia e Uruguay), che nelle loro prime partecipazioni all’indagine internazionale avevano inviato solo una parte dei loro quindicenni (i più abbienti), con i risultati dell’ultima edizione in cui hanno potuto partecipare anche gli studenti svantaggiati.

Una esclusione determinata dal fatto che oltre ad avere 15 anni occorreva che gli stessi studenti frequentassero anche una determinata classe: quella che da noi corrisponde al secondo anno delle superiori. E in questi Paesi i quindicenni delle zone più arretrate/periferiche alcuni anni fa o non frequentavano la scuola o erano rimasti indietro. Ecco i risultati.

Nell’ultima edizione del Pisa (Programme for International Student Assessment) i Paesi in questione sono riusciti ad includere nelle loro classi anche gli alunni provenienti dalle fasce sociali più deboli: un milione e 100mila in Indonesia, 400mila in Turchia e Brasile, 300mila in Messico. E, a sorpresa, gli esiti sono addirittura migliorati, in Matematica in tutti i Paesi, tranne che in Costa Rica e Uruguay. Prendendo poi in considerazione i risultati di quel 25 per cento di quindicenni più performanti, il loro score è salito ancora (più 12 punti in Brasile e addirittura 30 punti in più in Albania) con la presenza in classe dei compagni più svantaggiati.

Quanto basta per tranquillizzare tutti quei genitori che in questi giorni sono alla ricerca della classe ‘migliore’. E che pressano perché il loro figlio o la loro figlia venga inserita in una determinata classe piuttosto che in un’altra.

Perché i risultati dello studio condotto a Parigi “dimostrano che quando gli studenti più svantaggiati hanno accesso all’istruzione per la prima volta, gli studenti rimanenti ne possono anche beneficiare”. E che le classi-ghetto sono soltanto un errore educativo.

Fonte: R.it