Tra Stati Uniti e Italia, quelle mamme a metà

bandiera200Avere due genitori è meglio che averne uno, ma non averne nessuno è sicuramente la cosa peggiore per un bambino”. E’ il pragmatismo di Beatrice Spadacini, che racconta il percorso attraverso cui, nel 2007, è diventata mamma di Zawi, la bambina adottata in Kenya che ora vive con lei nel Maryland, negli Stati Uniti. “Zazzà, questo il nomignolo di mia figlia – prosegue Beatrice – era ospite della struttura “New Life Home” di Nairobi, specializzata nell’accoglienza di orfani di malati di AIDS, e non aveva ancora compiuto un anno. Io ero lì per lavoro: mi occupavo dell’ufficio stampa di Care International, incarico che avevo accettato al volo, perché desideravo fortemente conoscere l’Africa “da vicino”.

Un accordo tra Stati Uniti e Kenya stabilisce che le adozioni approvate nel paese africano, dove sono ammesse per i single, vengono automaticamente riconosciute in territorio americano. Un iter adottivo che per la Spadacini è durato quasi due anni, con il supporto dell’Ambasciata americana a Nairobi.

“Avevo, potuto conoscere mia figlia già prima, – continua Beatrice – perché facevo volontariato proprio nel suo orfanatrofio, dove, fra l’altro, mi ero trovata di fronte alla difficile realtà di luoghi devastati dall’AIDS, in cui i bambini sono spesso orfani e malati.” Anche Zawi era sieropositiva, ma le statistiche erano confortanti: due bambini su tre, non allattati dalle madri malate, riescono, nel corso dei primi anni, a debellare il virus. Così è stato anche per Zawi, una vittoria a tutto campo della vita e dell’amore.

Ancora oggi, però, Bea e Zazzà, devono far fronte a un problema che le divide. In Italia, infatti, l’adozione per i single non è legale e, dunque, Zazzà non ha la stessa cittadinanza della mamma, a parte quella americana ovviamente. Dunque è solo il Passaporto Usa che consente a Beatrice di essere riconosciuta come madre di Zawi.

Una divisione solo in apparenza formale, perché Zawi, non essendo italiana, non può restare nel paese di sua madre per più di tre mesi senza un visto specifico.

“Quando viaggiamo in Italia, – spiega la mamma di Zawi – siamo considerate “ospiti” e se mi accadesse qualcosa, i miei familiari non potrebbero, automaticamente, occuparsi di Zazzà, né, in caso di morte di uno dei miei familiari, lei rientrerebbe fra gli eredi”.

Nella medesima condizione si trova Destine, 11 anni a giugno che, Marianna Malaspina ha adottato a New York quando aveva solo 14 mesi. “Dal 2012, per motivi di lavoro ci siamo trasferite in Germania, dopo 23 anni nella Grande Mela, dove avevo un mio show room. Lì avevo preso una licenza come genitore affidatario e Destine è stata la mia prima “bimba”. Marianna ha adottato sua figlia senza nemmeno essere cittadina americana, ma solo residente con un regolare visto, perché ciò è quanto prevede la legge nello stato di NY, estremamente liberale in questo ambito.

“Quando un cittadino italiano viene da noi per chiedere un passaporto – dichiara Lucia Pasqualini, vice console di New York – noi lo rilasciamo senza problemi. Di fronte ad un bambino adottato qui, seppur nel pieno rispetto delle norme locali, invece, la legge ci impone un rifiuto. Tutto ciò che possiamo fare è trasmettere la pratica di adozione, per un eventuale riconoscimento, al Tribunale dei Minori che dovrà esprimersi in proposito”. La lettera della legge italiana obbliga però il Tribunale a rifiutare il riconoscimento dell’adozione. Una questione che resta aperta, dunque, in attesa di futuri sviluppi della normativa in tema di adozioni.

 

Fonte: (L’Espresso)