“Troppo ampia la casistica di bambini che siete disposti ad adottare. Non idonei”

Cultura della selezione senza formazione nella adozione internazionale: un esempio pratico…

Il percorso di una coppia verso l’adozione internazionale dovrebbe essere fatto (del resto lo prevedono anche le norme) di formazione, consapevolezza, accompagnamento verso l’accoglienza. Ma, molto spesso, così non è. Anzi. L’approccio prevalente è infatti quello di una sgradevole cultura della selezione, senza però che vi sia un percorso formativo adeguato.

Utile, al proposito, citare quanto accaduto alla signora Claudia Rossi  (il nome è di fantasia, ma la storia, purtroppo, reale). La sua è una delle tante lettere che le coppie inviano ad Ai.Bi. – Amici dei Bambini lamentandosi dell’atteggiamento di Servizi sociali e tribunali.

“La prima domanda che ci è stata fatta – racconta del primo appuntamento con i Servizi sociali – è stata cosa ci aspettassimo dall’indagine psicosociale. La mia risposta è stata: ‘So che il vostro compito è di valutarci e spero non giudicarci, che è molto diverso, ma spero anche che sia un aiuto per avviarci ad accogliere al meglio il bambino’. Abbiamo fatto tutti gli incontri, dodici, di coppia, con entrambi gli operatori: psicologo e assistente sociale. Durante l’analisi della nostra vita personale e professionale lo psicologo è stato molto sgradevole, con domande come ‘perché signore lei ripeter continuamente il cognome dei suoi fratelli?’, mentre mio marito elencava la composizione della sua famiglia, oppure, rivolto a me, ‘quindi sua madre se ne è lavata le mani?’, relativamente al fatto che io avessi spiegato che mia madre non aveva interferito sulla scelta degli studi”.

Davvero incredibile. Ma non è finita. “Passati alla discussione sul progetto adottivo – prosegue Claudia – oltre a non averci parlato minimamente del figlio che saremmo stati disposti ad accogliere, ci hanno sottoposto a simulazioni di ‘scenette’, come quella del bimbo che al supermercato butta per aria la merce o in cucina butta per terra i piatti, chiedendoci come avremmo reagito. Siamo partiti dicendo che era difficile dare una risposta, perché ci sono troppe variabili, dipende dal bambino, dall’età, dalla lingua in caso di adozione internazionale… abbiamo comunque detto che per prima cosa avremmo allontanato il bambino da quella situazione che evidentemente gli aveva creato un disagio, lo avremmo contenuto e tranquillizzato… ‘E poi? E poi?’, chiedevano. Non andava bene nessuna risposta. Abbiamo detto che avremmo chiesto aiuto agli esperti e ci hanno risposto ‘eh, no… il figlio è vostro ormai!’”.

Dopo il primo, ci sono stati altre due incontri di questo tenore. “All’ultimo incontro hanno affermato che secondo loro non eravamo consapevoli di ciò a cui andavamo incontro e che insistevano con queste ‘simulazioni’ per evitare che andassimo incontro a un pentimento. Nella vita professionale, peraltro, sono un’insegnate di scuola primaria e so cosa siano i bambini problematici… comunque, abbiamo detto che sapevamo a cosa andavamo incontro e che eravamo pronti a correre i rischi, affidandoci in caso di bisogno ad esperti e specialisti per il bene del bambino”.

Così arriva il giorno della lettura della relazione. “Non ne abbiamo una copia cartacea – spiega Claudia – così cerchiamo di ascoltare, ma la tensione fa brutti scherzi e non afferriamo bene un passaggio che leggiamo poi quando ci viene inviata per e-mail, dopo che è stata già inviata al Tribunale; inutile a quel punto chiedere spiegazioni. Con i giudici onorari ci sembra vada abbastanza bene: ripercorriamo il percorso fatto, verbalizzano i parametri (brutto termine) del bambino che siamo disposti ad accogliere, ci danno consigli, ci rispiegano il rischio giuridico. Depositiamo sia la domanda per l’adozione nazionale che per l’internazionale; ci viene detto che per la nazionale finisce lì, l’idoneità è solo per l’internazionale e che già dal giorno dopo potremmo essere contattati per un colloquio conoscitivo con i giudici togati”.

Tutto è bene quel che finisce bene dunque? Purtroppo no. Dopo tre mesi arriva la comunicazione del Tribunale in merito all’idoneità: richiedono un ulteriore approfondimento. Ci convocano nuovamente le responsabili dei Servizi: ci dicono che in caso di approfondimento è prassi. Ma poi leggiamo la relazione. Parla di ‘supplemento effettuato da noi responsabili in quanto gli operatori referenti hanno riportato difficoltà comunicative che hanno reso opportuna tale decisione’. Dunque hanno mentito, la ‘prassi’ non c’entra nulla! Ma non finisce qui. Hanno scritto che mio marito ha assecondato il mio desiderio, hanno addirittura scritto che abbiamo lasciato troppo ampia la casistica dei bambini che siamo disposti ad accogliere perché ‘desiderosi di realizzare concretamente il progetto adottivo’. Praticamente un figlio a tutti i costi, quando abbiamo chiaramente detto che non è così dal momento, per esempio che abbiamo escluso per scelta la fecondazione assistita… Inoltre hanno definito mio marito ‘tendenzialmente semplice e desideroso di realizzare l’obiettivo senza ulteriori perdite di tempo e propone l’intervento di esperti di sua fiducia per affrontare i problemi se e quando si presenteranno’. E il rivolgersi a esperti sarebbe una cosa negativa? Questo è stato il nostro percorso… altro che accompagnamento! Non so se sono più arrabbiata, amareggiata, schifata o disperata…”