Twitter, il Diavolo e quelle immagini di bambini siriani che non vedrete mai

siriaDal nostro inviato (Luigi Mariani) – Di tutte le foto sulla guerra in Siria che circolano su Twitter, le più strazianti sono certamente quelle che ritraggono i bambini.

Se ne trovano di terribili, che non risparmiano nulla della cruda realtà del conflitto: dai piccoli corpi martoriati dalle esplosioni, alle inquadrature dei visi privi di vita, spesso coperti da uno strato di polvere bianca, quasi una sorta di sudario calato pietosamente su delle povere vittime innocenti.

Gli attivisti si servono di queste immagini per rendere ancora più vivida e reale la percezione della tragedia. Anche se spesso queste foto vengono utilizzate in modo strumentale, ciò non le rende meno vere: da qualche parte, un padre e una madre stanno piangendo il proprio figlio, strappato per sempre dalle loro braccia, nel modo più atroce che si possa immaginare.

Sono pugni nello stomaco per chi, come me, è tenuto per lavoro anche a informarsi e ad aggirarsi in quella galleria degli orrori che è la guerra raccontata attraverso i social media. Sono rappresentazioni senza filtri che non trovano spazio sui media istituzionali, i quali evitano giustamente di urtare la sensibilità del pubblico. Ciononostante, esistono, e una volta lasciate entrare, ti marchiano a fuoco.

Il mio cervello, ad esempio, ultimamente ha preso a giocarmi un brutto scherzo: sempre più spesso, quando incontro qualche bambino siriano, la mia mente tende a sovrapporgli per pochi istanti il volto privo di vita di un suo coetaneo, uno dei tanti in cui ho avuto la sventura di imbattermi su internet. E’ una sensazione sgradevole, che dura lo spazio di un respiro, ma sufficiente a farmi chiedere se si tratti solo di ipersensibilità o di un problema più serio.

E se questo accade a me, che non ho vissuto in prima persona lo shock di una perdita, immagino cosa possa scatenarsi nella psiche di tante persone costrette a convivere ogni giorno con il dramma vero, incarnato, reale della guerra. Immagino cosa possano provare i tanti bambini siriani rifugiati, che porteranno sempre i segni, nel corpo e nello spirito, dell’orrore vissuto.

Ma non ci sono solo immagini cruente, nel senso letterale del termine. Quelle che più mi hanno turbato, paradossalmente, ritraggono dei volti sorridenti: sono quelli, ingenui e inconsapevoli, di tanti bambini costretti a posare di fianco a fucili più alti di loro, o a reggere pistole troppo grandi per le loro manine. Sono le foto diffuse a fini propagandistici da alcuni gruppi di ribelli, e sono forse ancora più sconvolgenti, perché disorientano, accostando due mondi che non possono convivere, che confliggono fra loro: quello dell’infanzia e dell’innocenza, e quello delle armi, della guerra, della violenza. In quella sconcertante coesistenza, in quell’oltraggioso tradimento di ogni verità, in quella negazione macroscopica dell’umano, forse – per la prima volta – ho davvero riconosciuto il Diavolo.

 

In questo momento, i bambini siriani hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile, da parte di tutti. Non restiamo a guardare.

 

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