Uccide il figlio poi si toglie la vita. “Continua la strage degli innocenti. Ma un bambino non è una proprietà”

Il presidente di Amici dei Bambini, Marco Griffini: “Avvocato del minore in tutti i casi di separazione conflittuale. Colpe morali di una società che non protegge i bambini”

Uccide il figlio, poi si toglie la vita. Ennesimo dramma a Rivara Canavese, in Piemonte, dove Claudio Baima Poma, un operaio di 47 anni, separato dalla moglie, ha per l’appunto ucciso con un’arma da fuoco il figlio undicenne e si è poi tolto la vita. Il folle gesto, compiuto con una pistola che pare fosse detenuta illegalmente, era stato preannunciato su Facebook. “La tragedia di Rivara è l’ennesima tappa di una strage degli innocenti che sembra non avere fine. Ma un bambino non è una proprietà”,  è il commento di Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini.

Uccide il figlio poi si toglie la vita. Le colpe di una scia di sangue

“Di chi sono le colpe di questa lunga scia di sangue? – ha detto Griffini – Certo, quelle materiali sono certamente degli assassini. Di questo padre, così come di Mario Bressi, l’uomo che lo scorso mese di giugno ha ucciso i suoi due figli nel lecchese, prima di ammazzarsi. Di ‘farla finita’. Due padri separati, due persone sole, due killer. I loro figli si sono trovati soli, nella vita. Soli come quei bambini abbandonati che, nel mondo, non hanno più una famiglia. La famiglia, quella di questi bimbi, di queste vittime innocenti, invece c’era ma, forse, solo fisicamente. L’entità famiglia, la comunità di due persone che scelgono di accogliere nella propria vita la gioia di un figlio, invece, era stata sciolta. Quando finisce qualcosa di grande, come una famiglia, quando si sceglie di interrompere qualcosa di potente, come un matrimonio, si apre la finestra su un dolore immenso, lacerante. E questi episodi di cronaca ci fanno capire che, da lì all’abisso, il passo è tragicamente breve. Ecco che, allora, forse, le colpe, morali, sono anche di una società che continua a produrre nichilismo e solitudine. Che umilia i suoi membri più in difficoltà. Che li esclude, o socialmente o economicamente. E che non protegge i bambini. Forse, allora, in un caso di separazione conflittuale, bisognerebbe sempre prevedere la figura dell’avvocato del minore, che Ai.Bi. già caldeggia da anni per le vicende di affido di minori in difficoltà famigliare e in ogni caso occorre ripensare il sistema, anche perché, come questi casi di cronaca dimostrano, il ruolo del PM, di controllo nei procedimenti di separazione oppure di impulso nel caso di provvedimenti sulla responsabilità dei genitori, non è evidentemente sufficiente a tutelare e proteggere i bambini coinvolti”.

Uccide il figlio poi si toglie la vita. “Un figlio non è una proprietà”

“Dobbiamo poi dire – prosegue Griffini – che quando una coppia sceglie di accogliere nella propria casa un figlio attraverso l’adozione, dando un’opportunità a un bambino abbandonato che del dolore e della sofferenza è solo una vittima, questa si trova ad affrontare esami, colloqui di selezione, aule di tribunale. Si è sotto esame per una vita intera, per dimostrare di essere adeguati al ruolo più difficile: quello di genitori. Sorge allora un dubbio feroce, una domanda terribile: ma perché questi esami interminabili non dovrebbero riguardare anche chi un figlio lo mette al mondo biologicamente? Perché tutti i padri e le madri non devono dimostrare di essere in grado di accogliere e custodire una vita? Tutti i genitori, adottivi o meno, dovrebbero infatti essere resi consapevoli di ciò che più importa, nel rapporto con i propri bambini. Consapevoli del fatto che un figlio non è una proprietà. Nemmeno se gli si fa il dono più grande, quello della vita. Un dono che, in realtà, due genitori possono fare solo in quanto essi divengono strumenti di un disegno più grande. Non sono loro, in realtà, a dare al proprio figlio quel regalo prezioso che è l’esistenza. E, per questo, non possono e non devono mai pensare, neppure lontanamente, di potersi arrogare il diritto di toglierglielo”