Un giorno in casa Mecca con quella rivoluzione d’amore… chiamata Martin Titus

famiglia Mecca 200Il frigorifero sempre stracolmo. Una casa su due piani vissuta solo di notte e nei fine settimana. Nemmeno tutti, visto che spesso il tempo libero era speso in viaggi e vacanze in Italia e all’estero. E poi tante serate con amici, scelti di prassi tra i ‘soci’ del ‘Club Children Free’. Il dopo-lavoro, un altro classico metropolitano. Palestra e piscina per lei, partite di calcio per lui. Per il resto, due vite concentrate sulle rispettive carriere. Questo il ritratto della famiglia Mecca-Crotti, prima dell’arrivo di Martin Titus.

Adesso il frigorifero conserva solo il necessario. La casa è il luogo dove mamma e papà cercano di passare più tempo possibile. Le valigie non sono più dietro la porta, perché i last minute sono per ora un caro ricordo.

Ogni giorno la sveglia suona mezz’ora prima, ma trenta minuti devon bastare per far colazione e prepararsi tutti e tre in tempo per andare al lavoro. Mentre mammaa corre in ufficio, papà accompagna Martin dai nonni. Poi a pranzo tutte le volte che può, Nicola va a casa dei genitori o dei suoceri per sedersi a tavola con il figlioletto. Dopo l’arrivo di Martin, Patrizia ha scelto un part-time che le permette di rientrare, tre pomeriggi a settimana, in tempo per godersi il risveglio del bimbo dal suo riposino pomeridiano. Giochi e passeggiate al parco riempiono l’attesa del rientro del papà.

Martin è ormai il centro intorno al quale si muove tutta l’economia familiare: il riassetto è fatto più che di rinunce, d’incastri. Papà e mamma fanno la staffetta per garantire al piccolo le coccole della sera, così che uno dei due abbia salvo il tempo del benessere personale. Se è il papà a far addormentare Martin, Patrizia si organizza qualche svago. Altrimenti mamma resta in casa e papà esce per indossare le scarpette chiodate. Un puzzle di vita che affascina chi ascolta e che Patrizia minimizza:«La vera meraviglia è Martin, capace di adattarsi con serenità a qualsiasi condizione. Per i nostri parenti e amici è una sorpresa vedere quanto il bimbo sia legato a noi. Questo ci riempie di gioia».

In mezzo, tra la vita prima di Martin e la vita dopo Martin, ci sono otto mesi trascorsi tutti insieme in Kenya. Perché l’iter adottivo nel Paese africano prevede un lasso di tempo molto lungo da trascorrere in loco, prima di concedere il passaporto al bambino. Una condizione che restringe il numero degli aspiranti genitori che possono ‘permettersi’ di essere abbinati a un bimbo keniota. A differenza di tante coppie che considerano i mesi di ‘soggiorno obbligato’ solo fatica e spreco di tempo, Patrizia li giudica fondamentali: «Era una situazione idilliaca, io ero libera da impegni lavorativi, Nicola lavorava part-time e trascorrevamo giorno e notte con lui. Al rientro, Martin ha conosciuto i nonni, gli zii, gli amici, ma aveva ben presente che mio marito ed io eravamo i suoi punti di riferimento. In una parola, fin dal primo giorno qui noi eravamo papà e mamma».

L’esperienza in Kenya ha trasformato non poco la coppia. «Mio marito continua a ripetere che è stato il periodo più bello della sua vita.  Conoscevamo la realtà africana e le sue mille difficoltà quotidiane, l’acqua corrente che è spesso un miraggio, la corrente elettrica che salta, la lavatrice che è un lusso. Ma con l’adozione l’Africa ci è entrata nel cuore». A chiederle cosa le ha donato il Continente nero, Patrizia snocciola esempi che danno concretezza alle sue parole.

«Se prima mancava qualcosa in casa, tempo zero ed era già acquistata. Adesso mi scatta la molla della verifica effettiva della sua necessità. Quasi sempre non c’è».

Ma la rivoluzione più significativa forse è quella del «ciao» e del «buongiorno». In Africa, Nicola e Patrizia hanno scoperto che anche gli sconosciuti si salutano. Hanno voluto infondere il valore dell’espansività al piccolo Martin, che all’inizio era timoroso di tutto e tutti e sempre un po’ triste. Ma prima ancora l’hanno assimilato dentro di sé. «Sai- continua la neomamma- prima magari incrociavo una conoscente al parco e tiravo dritto. Adesso mi viene di sorriderle, salutarla e magari scambiare due parole. Perché tutti abbiamo bisogno di ritrovare una dimensione umana. Per noi il cambiamento è stato ridare valore alle piccole cose e restituire centralità alla persona».

Patrizia di una cosa è certa: «Se ti lasci conquistare dall’Africa, lei ti cambia nel profondo».