Usa: le cause del crollo delle adozioni internazionali

L’adozione internazionale made in Usa: ovvero il calo del 60% dal 2004 al 2011. Un’inchiesta pubblicata sul giornale Christian Post ha cercato di indagare sul perché del calo e sulle cause delle difficoltà che le coppie adottive hanno incontrato in questi anni. «Si tratta del collasso enorme di un valido sistema di servizio all’infanzia» commenta Tom DiFilipo, presidente del Joint Council on International Adoption. «C’è una ragione per cui tutto questo è successo», rincara Jedd Medefind, della Christian Alliance for Orphans: «un feroce scontro sul fatto se sia più importante il background di un bambino o il suo bisogno di una famiglia».

«Qual è la priorità per il minore: il bisogno di amore da parte di due genitori o la sua razza ed etnia?» sintetizza Napp Nazworth, autore dell’inchiesta. È esattamente lo stesso argomento che ha visto contrapporsi, sulle pagine di Gente e di AiBi News, i due diversi pareri di Don Mazzi e di Marco Griffini, suscitati dal caso del 13enne Habtamu, figlio adottivo di una coppia italiana, scappato di casa lo scorso gennaio perché voleva andare a trovare i fratelli rimasti in Etiopia. Don Mazzi metteva l’accento sulla carità del lasciar crescere i bambini nel loro Paese, Marco Griffini invece ha ricordato l’atto di giustizia dell’adozione internazionale, che dà al bambino abbandonato ciò che davvero desidera, la famiglia.

L’inchiesta del Christian Post mette in luce che la tendenza attuale è incline a concedere priorità ai principi di etnia e razza. «Quasi tutti sono teoricamente a supporto dell’adozione internazionale – sottolinea Jedd Medefind della Christian Alliance –, ma alcuni la collocano semplicemente come un’ultima risorsa che però effettivamente non dovrebbe accadere». È sempre Medefind a sottolineare come gli stessi programmi di aiuto dell’Onu e dell’Unicef tendano a dare priorità al principio etnico piuttosto che alla famiglia. «Il momento in cui sorgono le questioni etiche più dure è quando c’è un genitore, ancora vivo, che potenzialmente potrebbe prendersi cura del minore, ma che ha deciso di abbandonarlo», conclude Medefind.

Il vero punto critico si trova, secondo l’inchiesta, nell’implementazione della Convenzione dell’Aja. Alcuni Paesi fanno grandissima fatica a dotarsi degli strumenti di documentazione richiesti dalla Convenzione. Il caso dell’Etiopia, nei termini dell’inchiesta, è lampante: «La polizia locale non documenta adeguatamente  le sue indagini sui bambini abbandonati. Vai in queste stazioni di polizia e non vedi un solo computer, un solo archivio di file. Cosa dovremmo fare?» dice Kelly Enslin, avvocato per i diritti dei minori.

L’ultima parola a Tom DiFilipo, che sostiene la seguente tesi: se un Paese in via di sviluppo riceve incoraggiamenti a firmare la Convenzione dell’Aja, dovrebbero esserci anche risorse offerte in aiuto a quel Paese, così che non si verifichino improvvisi cadute nell’adozione internazionale. «Se un Paese aderisce o non aderisce alla Convenzione, viene sommerso solo di critiche o di lodi. Occorre che ci sia partnership e assistenza finanziaria – chiude DiFilipo – non solo critiche o incoraggiamenti».

(Da Christian Post, Napp Nazworth, 18 febbraio 2012)