Utero in affitto? Il figlio su misura che uccide l’adozione

Dal diritto alla famiglia al diritto al figlio: il crollo delle adozioni in India e Colombia

L’utero in affitto? Un disincentivo per l’adozione, ma anche un brutale meccanismo di sfruttamento delle donne e del corpo femminile. A spiegarlo è, in un’intervista pubblicata il 4 dicembre su Avvenire, anche Sheela Saravanan, tra le maggiori studiose di Gestazione per altri (GPA). E non si tratta certo di una fondamentalista, perché la Saravanan è anche una femminista convinta. Che, però, prende lucidamente atto di un processo in corso.

Il mercato della maternità surrogata – ha spiegato la Saravanan – segue una logica ben precisa: persone che si spostano dalle zone ricche del pianeta alle zone più povere, per esempio dall’Europa occidentale a quella orientale. E un chiaro modello classista: i benestanti che usano i servizi delle persone più povere. Mentre il Nepal, l’India, la Thailandia, il Messico e la Cambogia hanno limitato la GPA o proposto un divieto di GPA commerciale, la pratica si è spostata e probabilmente si diffonderà in altri Paesi poveri. Una delle mie preoccupazione è proprio questa: che diventino appetibile le donne di altri Paesi a basso reddito come Laos, Malaysia, Kenya, Nigeria, Ghana, Sud Africa, Argentina e Guatemala. Questo modello di mercato che si muove globalmente ed è basato sullo sfruttamento e sul controllo del bio materiale riproduttivo umano da parte delle persone ricche, sfruttando disuguaglianze e vulnerabilità, è una forma di colonizzazione del corpo e del lavoro delle donne. Ed è una chiara indicazione che nel biomercato le disuguaglianze globali svolgono un ruolo importante”.

Così, mentre i Paesi “vittime” dello sfruttamento tendono a varare norme restrittive contro la GPA, i Paesi europei latitano. Questo accade, secondo la Saravanan, “perché prevale una prospettiva individualistica rispetto a quella globale. Il desiderio di un figlio è diventato rapidamente un bisogno, poi un diritto e infine un diritto che esclude l’interferenza dello Stato. Si tratta di un diritto consumistico, accessibile principalmente alle persone ricche. La prospettiva individualistica però trascura lo schema di disuguaglianze strutturali all’interno e tra le nazioni che sottosta alla pratica della maternità surrogata”.

Una pratica, questa, che costituisce un disincentivo all’adozione. “La fecondazione assistita – ha detto ancora la studiosa – è fondamentalmente costruita intorno alla filiazione genetica. In India molti genitori benestanti si affidano alla maternità surrogata nonostante abbiano già adottato, soddisfacendo così il desiderio di figli geneticamente legati a loro. La maternità surrogata infatti esalta i legami genetici e svaluta il ruolo della gestazione e della madre che partorisce. In India c’è stato già un impatto negativo sui numeri dell’adozione, diminuiti dalle 5.964 nel 2010-2011 alle 3.210 nel 2016-17. Ciò sta avvenendo anche in Colombia. Le tecnologie riproduttive rovesciano lo schema, cercando di ottenere un bambino adatto ai desideri dei genitori, e non viceversa. La GPA rafforza le discriminazioni: si può scegliere la razza, il sesso, il quoziente intellettivo dei donatori di gameti e delle madri portatrici, ci si può sbarazzare di embrioni o feti non perfetti… Si può dire che la GPA è un pericolo per gli stessi valori umani? La surrogazione è una pratica che fornisce un’ampia scelta riproduttiva solo per le persone ricche, a scapito della salute, della libertà e della vita di altre, in generale meno abbienti. Ma se si giudica indesiderabile l’alterazione dei genomi, come possiamo considerare normale la raccolta di gameti, la scelta di madri surrogate e l’acquisto di bambini sulla base di pregiudizi classisti, razzisti, sociali?”

La vita come bene di consumo, come acquisto di una merce. Ed esattamente come avviene per i beni di consumo nell’era della globalizzazione, quando aumentano costi e difficoltà la produzione si sposta altrove. “Nepal, India, Thailandia e Cambogia hanno posto limiti alla ‘Gestazione per altri’ – ha spiegato ancora la Saravanan – E così il mercato si sta spostando in Paesi ancora più poveri: Laos, Kenya, Ghana, Guatemala…”.