Vorrei adottare uno special need, ma sono immersa in un frullato di paura ed eccitazione…

Ci è saltata in testa l’idea folle di tentare con la seconda adozione, visto che ormai nostro figlio ha quasi sei anni. Lui è stato adottato attraverso la nazionale. Ci hanno detto che non dobbiamo rifare il corso informativo. E vorrei ben dire! Come dice mio marito: «Sono cinque anni che facciamo il corso tutti i giorni!». Questa volta stiamo pensando di ampliare la disponibilità per qualche tipologia di “special” sul versante fisico o sensoriale, potreste darmi dei consigli? Sono immersa in un frullato di paura ed eccitazione…

Adele

TRASFORINIGentilissima Adele,

il suo “frullato di paura ed eccitazione” rende meglio di mille descrizioni tecniche l’aspetto emotivo che caratterizza coloro che si avvicinano alla seconda adozione. Nell’incontrare tante coppie felici della propria esperienza adottiva che intendono intraprendere un secondo percorso emerge, oltre al grande entusiasmo rafforzato dall’esperienza vissuta ogni giorno, anche il timore di comprendere la propria disponibilità che nella seconda esperienza non è più calibrata su una coppia di adulti tendenzialmente coscienziosi e informati, bensì su una famiglia con un figlio, quindi con un bambino non è in grado di dare un assenso pienamente consapevole alla seconda adozione e tanto meno con responsabilità in merito! Per cui il pensiero che spesso sorge nel chiedersi se aprirsi a “bisogni speciali” o meno non è tanto ambientato negli scenari degli anni prossimi a venire in cui ci si immagina che i fratelli litighino o soffrano di gelosia. Come tutte le esperienze fraterne queste sensazioni sono accompagnate e compensate dalla possibilità di avere un compagno di giochi e da una vita familiare con relazioni ancora più ricche mediate comunque dai genitori. Le preoccupazioni sono piuttosto in funzione degli anni successivi, durante lo sviluppo adolescenziale o della necessità di farsi carico di eventuali problematiche in un futuro più lontano.

Il tipo di riflessione che viene proposto alle coppie è quello, oltre al bisogno speciale in sé, di pensare agli effetti della patologia sulla vita familiare, interrogandosi su quale tipo di effetto un “bisogno speciale” può avere sulla qualità della vita, vi sono alcune menomazioni che non progrediscono pur magari necessitando di interventi, come ad esempio labiopalatoschisi, e ce ne sono altre non evidenti che però incidono sulla qualità della vita come alcune malattie croniche, vi sono poi gli aspetti del ritardo cognitivo o iperattività che toccano più il piano prestazionale e relazionale. Nelle esperienze che abbiamo potuto osservare ciascuna famiglia- riflettendo sulle proprie risorse e cercando di capire che tipo di effetto potrà avere su se stessa l’accoglienza di un bambino con certe caratteristiche- aiutata da professionisti o dal confronto con altre famiglie, arriva a maturare quale possa essere il proprio spazio all’accoglienza, rendendosi conto che l’accoglienza è alla fine verso un bambino più speciale degli altri e che i “bisogni speciali” sono delle caratteristiche.

Tanti auguri

Lisa Trasforini

Equipe psicologica di Ai.Bi.