Accoglienza migranti: famiglia sì, famiglia no. Ma chi ha ragione fra la Chiesa e lo Stato ?

profughi bimbiDavanti all’afflusso impetuoso di migranti in fuga da guerre, persecuzioni e miseria, le istituzioni spesso si dividono e, con esse, anche i pareri della società civile. Da un lato la Chiesa, per bocca di Papa Francesco e dei vescovi, invita tutte le parrocchie e le famiglie a ospitare i migranti, soprattutto i più fragili, come bambini e nuclei familiari. Dall’altra lo Stato, in particolare il Viminale, mette in guardia da un’eventuale “bontà senza preparazione” e ricorda che è compito delle istituzioni la creazione di un efficiente sistema di accoglienza. In tutto questo, le organizzazioni del Terzo si propongono di formare e accompagnare le famiglie disponibili all’accoglienza. Di tutto ciò parla la giornalista Laura Eduati in questo articolo, che riportiamo integralmente, pubblicato sull’”Huffington Post” il 9 settembre 2015. E sulla stessa questione, Aibinews cede la parola ai suoi lettori in uno speciale sondaggio che troverete in calce all’articolo.

 

Ospitare un profugo in casa, perché no? Un sito creato in Germania sta trovando una famiglia a decine di richiedenti asilo appena arrivati in Europa, un’idea simile esiste in Francia e intanto cresce il numero dei politici che decidono di aprire le porte di casa a coppie o addirittura a intere famiglie: gli ultimi in ordine di tempo sono il premier finlandese e l’ex premier ungherese.

E anche in Italia sempre più persone accarezzano l’idea di accogliere i rifugiati in difficoltà. Uno dei primi è stato Antonio Silvio Calò, professore di liceo che ha preso nella sua villetta in provincia di Treviso ben sei ragazzi africani.  Ci sono famiglie che hanno già avuto questa esperienza, giurano che sono pronti a rifarla: è la storia di Giorgia Emanuelli e del marito, che a Fano hanno convissuto per qualche mese con un ventunenne del Gambia.

Il Viminale, però, mette in guardia dalla “bontà senza preparazione”: “La generosità va aiutata e apprezzata ma l’obiettivo del governo è quello di creare una solida rete di accoglienza statale senza che siano i singoli cittadini a sobbarcarsi il peso dell’aiuto”, spiega una fonte del ministero.

Dare un tetto a un profugo, infatti, non significa soltanto provvedere alle prime necessità materiali come un letto oppure un pasto caldo. Sempre dal Viminale arriva un chiarimento ai volenterosi: “I profughi devono essere accompagnati in un percorso burocratico per la domanda di asilo, vanno seguiti dal punto di vista psicologico in quanto molti hanno subìto traumi, in sostanza hanno bisogno di figure professionali esperte”.

Prima dell’emergenza di queste settimane, i progetti-pilota sul territorio italiano sono stati messi in pratica con discreto successo sia dalla Caritas che dall’Arci, principalmente a Torino e nel Milanese. Le famiglie disposte a vivere con uno o più richiedenti asilo vengono inserite nel progetto e monitorate passo dopo passo. Il fai-da-te è sconsigliatissimo. Ecco perché sono spesso le Prefetture oppure gli enti locali come i Comuni a stringere accordi con le associazioni umanitarie sul territorio che possono individuare dei nuclei famigliari adatti all’accoglienza in casa.

Chi aspira a fare parte di questa rete di accoglienza deve, insomma, fare riferimento alle istituzioni più prossime che a loro volta si appoggiano sulle associazioni che conoscono bene il lungo iter della domanda di asilo e le necessità dei richiedenti asilo. Molto ben accette sono soprattutto le disponibilità delle seconde case, come in un certo senso è accaduto in provincia di Padova dove una anziana di 90 anni si è trasferita dai figli per lasciare la propria villetta a una decina di profughi. Con la mediazione, anche in quel caso, di una cooperativa convenzionata.

I fondi per chi accoglie sono gli stessi garantiti alle cooperative che gestiscono l’accoglienza dei profughi, e cioè una trentina di euro al giorno per ospite. Una cifra che dovrebbe coprire i costi dell’abbigliamento, del cibo e delle spese mediche. Il consiglio del Viminale è quello di rivolgersi alla Prefettura. Prima, però, è necessario sapere che non sarà un percorso facile: “La bontà senza preparazione può essere rischiosa sia per il richiedente asilo sia per chi lo ospita, che deve pensarci due volte prima di compiere un passo così generoso”.

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