Cosa dobbiamo temere di più nella nostra vita? La morte della nostra fede

gesù parla agli apostoliIn occasione di questa terza domenica di Quaresima, la riflessione di don Maurizio Chiodi, assistente spirituale nazionale di Ai.Bi. Amici dei Bambini e La Pietra Scartata, trae spunto dal libro dell’Esodo (Es 3,1-8a.13-15), dalla prima Lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 10,1-6.10-12) e da un brano del Vangelo di Luca (Lc 13,1-9).

 

Apparentemente, le letture di questa domenica terza di quaresima, sono molto ‘lontane’ l’una dall’altra. Ma non è così! In aggiunta a ciò, questo Vangelo potrebbe sembrare piuttosto ostico, quasi ‘antipatico’.

 

Riferendosi a due fatti di cronaca di quel tempo, Gesù chiede: «Credete che quei Galilei» che erano stati uccisi da Pilato mentre stavano facendo un sacrificio o «quelle diciotto persone, sulle quali» era crollata «la torre di Sìloe», «fossero più peccatori» o più colpevoli di altri? E conclude: «No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

La gente, facilmente, allora come oggi, crede che se succede una disgrazia questa sia una punizione o un castigo da parte di Dio. Questa idea era più frequente una volta, ma è presente, anche oggi, in molte persone che si dicono cristiane.

Questa idea è fondata su una idea di ‘giustizia’ – così si dice – di Dio. Per questo, giustamente, ci ‘scandalizza’ tanto il cosiddetto ‘dolore innocente’, la morte, o la malattia grave di un bambino, per esempio.

Così noi ci immaginiamo che Dio ‘distribuisca’ o ‘permetta’ il dolore a chi se lo merita.

Però poi i conti non tornano quando succedono tante cose, specialmente quando siamo toccati in prima persona. E diciamo: “come è possibile?”.

 

La risposta di Gesù è chiara: quella gente non è morta perché era colpevole o più peccatrice di altri, di voi che mi ascoltate. Però aggiunge – e questo non è così facile da capire – «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

 

Dobbiamo ascoltare bene questa parola. Evidentemente, Gesù non ci minaccia e nemmeno prevede che chi lo ascoltava sarebbe stato ucciso dai Romani o dalla rovina di una torre.

Parla di un’altra morte. Parla della morte della fede. La sua Parola non è una minaccia, ma è un invito a convertirsi e cioè a credere, come è evidente dalla piccola parabola che segue.

 

Il senso fondamentale di questa parabola è che il Signore attende da noi frutti buoni, come l’albero di fichi nella vigna di quest’uomo, e che egli ci concede tempo, ci dà tempo, con pazienza, anche se ad un certo punto il tempo non ci sarà più, ci sarà la morte.

Il tempo della vita è questa chiamata alla conversione, all’ascolto della Parola che ci è donata, perché noi viviamo!

 

Il meraviglioso racconto dell’Esodo, nella prima lettura, ci aiuta bene a comprendere che cos’è la ‘conversione’, come nasce, che cosa comporta …

Mosè era fuggito dall’Egitto nel deserto di Madian. Là si era sposato. Era diventato pastore. La sua vita aveva ‘trovato’ una certa stabilità.

Un giorno, mentre pascolava il bestiame, attraversò il deserto e si spinse fino al monte di Dio, l’Oreb. È il monte Sinai.

Là, all’improvviso, senza alcun preavviso, gli apparve una scena sconvolgente e attraente: «una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto» che «ardeva», ma «non si consumava».

Nel fuoco egli vede ‘l’angelo del Signore’. Uno spettacolo affascinante, questo, che lo avvicina e attrae.

Così è Dio, la sua presenza è luce, fuoco, calore, fiamma che attrae e ci ‘converte’ a Lui. Ci fa ‘cambiare’ direzione, ci fa volgere a Lui. È straordinariamente stupefacente. È fonte di stupore e di meraviglia. È fuoco d’amore.

Così nasce la conversione a Lui! Per attrazione d’amore!

 

E allora Mosè si avvicina. Ma dal roveto ardente esce una voce che lo ferma: «Dio gridò a lui dal roveto».

Dio chiama Mosè per nome. Mosè si sente chiamato per nome. Dio chiama proprio lui, non uno a caso. La ‘conversione’ a Lui è personale.

 

Mosè risponde, subito: «Eccomi!».

La conversione è una risposta ad un fuoco d’amore, ad una Parola che affascina e attrae.

 

E la voce continua: «Non avvicinarti oltre!».

Così la voce chiede a Mosè di togliersi i sandali, di camminare a piedi nudi su quella terra santa, la terra della presenza di Dio.

Soprattutto gli chiede di fermarsi. Non è Mosè che ‘conquista’ Dio, anche se lo attrae e lo ricerca. È Dio che si rivela.

È il Dio dei padri. È un Dio che ha visto «la miseria» del suo popolo. È un Dio che libera e conduce nella terra promessa, «dove scorrono latte e miele».

È un Dio che manda Mosè. Lo chiama, lo ferma, lo manda.

 

E Mosè gli chiede, osa chiedergli il nome. Osa chiedere: “Chi sei tu, roveto che arde e non brucia?”.

«Io sono colui che sono!».

Risposta affascinante e inesauribile, che ha fatto scrivere fiumi d’inchiostro lungo tutta la storia.

È una risposta che rivela una promessa che agisce e si rivela nella storia.

Una presenza che è fuoco d’amore e di dialogo.

È una Parola che ci invita a entrare in una relazione, per convertirci all’amore!