adozione internazionale. La storia dei coniugi Cipollone, l'adozione è la strada per fare famiglia

Adozione internazionale. Da due a cinque in poche settimane: come cambia (in meglio) la vita di una famiglia che sceglie di adottare!

Su Vita di luglio la storia dei coniugi Francesca e Sergio Cipollone, sposati da tredici anni e con solide carriere già molto ben avviate. E il desiderio immenso di poter costruire insieme una famiglia numerosa. Dopo tre gravidanze interrotte, il dolore profondissimo superato solo grazie alla fede e alla reciproca vicinanza

Quindi, la scelta ‘rivoluzionaria’ eppure tanto possibile: attraverso l’adozione hanno scoperto che tutto l’amore che avevano nel cuore e sognavano di dare ai propri figli può diventare realtà anche se non vengono dal pancione della mamma! Così sono arrivati Yovana, Maricielo e Ricardo. Francesca: “Non sembra proprio possibile aver vissuto una vita in cui loro non erano con noi

adozione internazionale. La storia dei coniugi Cipollone, l'adozione è la strada per fare famigliaOggi sembra quasi che siano stati con loro da sempre: tre figli, tre bambini che in poche settimane hanno letteralmente rivoltato, stravolto e meravigliosamente cambiato la vita di Francesca e Sergio Cipollone. Una coppia sposata da tredici anni, con occupazioni più che soddisfacenti e tanto amore nel cuore da voler donare ai propri bambini. Che “però non arrivavano”. Dopo il grande dolore e la prima risposta resa possibile dalla fede e dall’unità coniugale, ecco la parola ‘magica’: adozione internazionale. Il racconto di una scelta stupenda e possibile, che adesso fa dire a Francesca: “Non sembra proprio possibile aver vissuto una vita in cui loro non erano con noi”. Nel racconto-intervista di Ottavia Spaggiari, pubblicato sull’ultimo numero del mensile Vita, che riportiamo integralmente qui sotto, c’è tutta la forza di una novità che può davvero cambiare la vita di una coppia.

Passare da due a cinque in poche settimane: è questa la storia di Francesca e Sergio Cipollone, 50 e 47 anni, sposati da tredici, entrambi project manager con due solide carriere. A maggio 2014 nella loro vita entrano Yovana, Maricielo e Ricardo, all’epoca rispettivamente 11, 6 e 3 anni e tutto cambia. «Entrambi siamo cresciuti con dei fratelli e volevamo una famiglia numerosa», spiega Sergio. «I bambini però non arrivavano». Tre gravidanze interrotte spontaneamente prima del termine, l’ultima al settimo mese nel 2011, un dolore profondissimo, che Francesca e Sergio riescono a superare grazie alla fede e trovando la forza l’uno nell’altra. «Sergio ha parlato di adozione per primo. Io ero cauta, non volevo che fosse un tentativo di sostituzione. Poi abbiamo iniziato ad informarci ed era chiaro che avevamo tanto amore da dare. Abbiamo deciso di fare domanda alla fine del 2012 e in quel momento io sono rinata». Inizia così il percorso per valutare la loro idoneità, una fase stressante, che decidono di affrontare con l’apertura. «Era giusto che delle persone competenti ci dicessero se, secondo loro, avevamo delle carenze. Abbiamo cercato di essere spontanei e trasparenti». L’idoneità arriva e, tra i diversi enti che si occupano di adozione internazionale, la loro scelta cade su Aibi: «Ci piaceva il fatto che mettessero sempre il bambino al centro, il sostegno nel post-adozione e i percorsi di preparazione». È proprio durante uno di questi che Francesca e Sergio danno la disponibilità ad accogliere tre bambini. «Dall’associazione quasi cercavano di dissuaderci, volevano essere sicuri che fossimo davvero consapevoli dell’impegno che significava».

A maggio 2014, il telefono squilla, in una città delle Ande ci sono tre fratellini senza genitori. «Ci hanno chiesto se eravamo disponibili ad un incontro per parlarne meglio e il giorno dopo, nell’ufficio di Aibi ho pensato che mi sarei ricordato di quel momento per sempre: lì avrei saputo chi erano i miei figli», racconta Sergio. «Ci hanno detto di aspettare a dare una risposta, ma noi ci siamo guardati e abbiamo capito immediatamente che erano loro». La strada però è ancora lunga, i documenti da presentare sono molti e complessi, passano altri sei mesi in cui l’unica immagine che hanno dei tre bambini è una foto piccolissima. Il primo incontro nell’ufficio della casa-famiglia di Huaraz, una cittadina a più di tremila metri, ai piedi del Huascarán, la montagna più alta del Perù.

«Appena arrivati ci hanno abbracciato forte e ci hanno subito chiamati mamma e papà». I bimbi erano preparati, Francesca e Sergio avevano mandato un album con le loro foto, quelle dei nonni, degli zii e della casa in Italia, eppure l’inizio di questa nuova vita a cinque è una giungla di incognite. «Sono figli tuoi ma tu non li conosci. Fai tutti quei corsi ma alla fine non sei mai pronto, vivi con un costante senso di inadeguatezza», Sergio sorride ricordando il primo pranzo insieme, «in hotel i bambini correvano da tutte le parti, non sapevamo come prenderli!».

«Erano indipendenti, dovevano abituarsi a noi», nota Francesca. «I primi mesi sono stati duri, soprattutto quando siamo tornati in Italia. I bimbi avevano delle crisi di rabbia che non sapevamo come gestire. La cosa che ci ha dato la forza è stato l’enorme amore reciproco. Un passo alla volta, cercando di dedicare a ognuno le attenzioni necessarie, le cose sono migliorate moltissimo», racconta. «Nell’arco di un anno i lineamenti dei bimbi si sono trasformati. Oggi sono sereni e sorridenti. E per noi è come se la nostra famiglia fosse sempre stata così. Non sembra proprio possibile aver vissuto una vita in cui loro non erano con noi».

 

Fonte: Vita