Le “balotellate” e l’adozione. Problemi di ricerca di identità di un ragazzo adottivo?

Poteva essere un campione. Rischia di essere ricordato soprattutto per gli eccessi

“Balotelli, uno sprecone da manuale”. Titola così una recente riflessione di Gian Antonio Stella pubblicata su Sette, settimanale del Corriere della Sera. “’Balotelli chi?’ si chiederanno via via i ragazzi – scriveva Stella – a ogni nuova puntata della Buiotteide, l`infinito tormentone sempre più stucchevole e ripetitivo segnato dalle cretinate del ventinovenne sprecone palermitan-bresciano ormai avviato (salvo miracoli) all`ineluttabile declino con un decennio di anticipo rispetto ai campioni veri”.

La riflessione di Stella faceva seguito all’ultima boutade del calciatore, recentemente tornato in Italia per vestire la maglia del Brescia, dopo gli anni passati nelle “grandi” di tutta Europa: la promessa, fatta a Napoli, di destinare una somma in denaro a chi avesse tentato un salto in mare in motorino. Una balotellata” che, ha spiegato Stella, ha fatto “girare i tommasei (…) perfino a chi l’aveva sempre difeso”.

Sette anni dopo la doppietta che affondò la Germania agli Europei (immortale l’immagine dell’esultanza di Balotelli senza maglietta) “del nostro Mario – spiegava con mestizia Stella – vengono ricordate soprattutto le stupidate. 11mila sterline di multe pagate nei primi nove mesi a Manchester più un totale di 27 rimozioni della sua Maserati… Le freccette tirate a dei ragazzini seguite dalle scuse più cretine… I colpi con la pistola giocattolo contro lampioni a Milano… L`incendio a casa sua”.

Ma a che cosa sono dovuti tutti questi problemi comportamentali? Perché tutto questo? Forse, dietro a questi atteggiamenti che hanno minato, magari irrimediabilmente, la carriera di quello che poteva diventare uno dei grandi dello sport del calcio, c’è un grave problema di identità. Di ricerca di quell’identità che, a volte, i figli adottivi non riescono a trovare. Soprattutto se, come nel caso di Balotelli, vengono costretti a un lungo periodo di affido famigliare, senza il privilegio di poter diventare veramente “figli”.