Alessandro, cooperante Ai.Bi. a Goma, in Congo: vivendo qui, sperimento ogni giorno una ritrovata umanità

Era un consulente informatico: dal 2007 vive in Africa e, oggi, è il cooperante Ai.Bi. nella Repubblica Democratica del Congo, dove coordina i progetti di cooperazione e tutte le attività legate all’Adozione a Distanza. Conosciamo meglio Alessandro Solagna

Quando lavorava in Burundi, Alessandro sentiva parlare della provincia del Nord Kivu con allarmismo, per la guerra in corso dai primi degli anni Duemila, la crisi umanitaria che ne è derivata e la sofferenza della popolazione locale.
Oggi, Alessandro Solagna non solo è diventato referente paese per Ai.Bi. in Repubblica democratica del Congo ma proprio a Goma, capitale della provincia del nord Kivu, ha incontrato sua moglie ed è nato suo figlio Mattia, che oggi ha 5 anni.

E pensare che era venuto in Africa sulla spinta di un possibile anno sabbatico.
“È vero. Sono in Africa ormai dal 2007. Io sono originario di Verona e lavoravo come consulente informatico, sviluppavo software. Volevo prendere un anno sabbatico – racconta Alessandro – e così ne parlai con colleghi in Università, per cui stavo conducendo un incarico. Mi proposero di andare in Burundi dove si cercava un esperto informatico per installare software. Insomma, accettai, restai in Burundi oltre 3 anni e dopo incarichi in Uganda, Ruanda, Costa d’Avorio…eccomi qua”.

Niente anno sabbatico, incarichi e vita nuova. Da quasi due anni Alessandro lavora con Ai.Bi. che opera nella Repubblica Democratica del Congo dal 2008 con interventi di Cooperazione Internazionale e di Adozione a Distanza in due orfanotrofi – SODAS e FED – a Goma.

Come si svolge la tua settimana tipo, se così si può definire, in un contesto di perenne emergenza?

La nostra settimana comincia con la riunione di staff il lunedì mattina, per verificare lo stato di avanzamento del progetto, pianificare tutte le attività settimanali e valutare le priorità. Di solito dedichiamo il pomeriggio a eventuali acquisti: è sempre difficile trovare medicinali, quindi ogni settimana verifichiamo cosa è possibile acquistare. Il martedì e il mercoledì sono dedicati alle visite agli orfanotrofi e a tutte le missioni di follow up. I giorni successivi proseguono con riunioni di staff, gestione e coordinamento di progetto.

Chi sono in bambini ospiti nei due istituti sostenuti da Ai.Bi.?
Quasi tutti i bambini provengono da zone di guerra ma ve ne sono anche molti altri le cui famiglie, disperate, hanno tentato fortuna nelle cave minerarie di coltan e oro, abbandonando i figli. Ai.Bi. ha trovato sostenitori abbinati a tutti i bambini e questo permette lo svolgimento del progetto di SAD (l’acronimo utilizzato per l’Adozione a Distanza) che prevede nutrizione, educazione, assistenza medica e, quando possibile, il ricongiungimento familiare.

Che relazione intercorre tra sostenitori e bambini?
È prevista una comunicazione periodica costante con le famiglie donatrici, ma ogni tanto assistiamo a qualche episodio particolare. Abbiamo di recente ricevuto una donazione extra da parte di una madrina, così abbiamo portato il bambino al mercato per fargli scegliere ciò di cui aveva bisogno. Il bambino, dopo aver fatto acquisti per sé, si è reso conto di avere ancora del denaro e così ha deciso di comprare un sacco di fagioli per tutti i suoi compagni di istituto. È un gesto importante, che dice molto.

Cosa ami di più del tuo lavoro umanitario?
Vivendo qui sperimento ogni giorno una ritrovata umanità, il fatto di essere tornato a vedere e incontrare le persone che sono soddisfatte dei risultati raggiunti. L’esperienza che sto vivendo con Ai.Bi. è per me importante perché in precedenza svolgevo un lavoro amministrativo che prevedeva qualche missione, ma anche quando arrivavo in mezzo alla foresta restavo sempre collegato al pc. Oggi, invece, ho rimesso i piedi nella realtà: con l’Adozione a Distanza valorizziamo la relazione tra famiglie e bambini che ritrovano in questi rapporti, sebbene a distanza, molta serenità. E quando vado in orfanotrofio in visita i bambini mi riconoscono: tutto questo mi fa molto piacere.

Come si vive con la guerra alle porte?
Questa guerra è una follia, prosegue da circa 20 anni e da un lato rincresce dire che è quasi una normalità accettata, dall’altro chi abita qui soffre parecchio. Dallo scorso novembre è impossibile uscire dalla città e perfino la sera è bene non restare in giro. Attualmente la situazione è peggiore rispetto al periodo in cui l’ambasciatore italiano Luca Attanasio fu ucciso. Sia verso nord che a est le strade sono bloccate da combattimenti violentissimi tra vari gruppi armati. Sia chiaro, questa è una guerra di conquista di risorse minerarie e come in tutte le guerre è impossibile abituarsi. Vivendo qui con la famiglia cambia la prospettiva: nascono amicizie, ci si sente parte del Paese, si conoscono le persone. Si soffre insieme a loro.