Ipotesi tredicesima detassata, fino a 1.200 euro in più per i lavoratori

Due le proposte allo studio, da inserire nella prossima manovra: esenzione Irpef o imposta sostitutiva. Obiettivo: alleggerire la pressione fiscale e rilanciare i consumi

La detassazione della tredicesima mensilità è una delle misure più discusse in vista della prossima legge di Bilancio.

Alleggerire la pressione fiscale

L’obiettivo del governo è alleggerire la pressione fiscale sul lavoro e dare respiro ai redditi medio-bassi, sostenendo al tempo stesso i consumi di fine anno. Ma la misura, caldeggiata da Forza Italia e accolta con prudenza dal ministro dell’Economia Giorgetti, presenta costi non trascurabili per le casse pubbliche: secondo la Cgia di Mestre, le tredicesime valgono circa 59 miliardi lordi e generano 14,5 miliardi di gettito Irpef, una cifra che andrebbe in gran parte persa in caso di esenzione totale.

Come funziona la detassazione

Oggi la tredicesima è tassata come un normale stipendio, con contributi previdenziali (9,19%) e Irpef calcolata per scaglioni — 23% fino a 28.000 euro, 35% tra 28.000 e 50.000, 43% oltre. Non beneficia, però, delle detrazioni per lavoro dipendente o carichi familiari, motivo per cui l’importo netto risulta sensibilmente inferiore alle altre mensilità.

Le due ipotesi

Sul tavolo del Ministero dell’Economia ci sono due ipotesi. La prima, più ambiziosa, prevede l’esenzione totale dall’Irpef. Secondo le simulazioni della Fondazione nazionale dei commercialisti, un lavoratore con reddito lordo di 30.000 euro guadagnerebbe circa 500 euro netti in più a dicembre; chi guadagna 50.000 euro arriverebbe a 1.222 euro. Una misura però molto costosa, che potrebbe far mancare allo Stato decine di miliardi.
La seconda ipotesi, più prudenziale, introduce un’imposta sostitutiva del 10% sulla tredicesima, sul modello dei premi di produttività. In questo scenario, il beneficio netto sarebbe di 272 euro per un reddito di 30.000 euro e di 873 euro per chi ne guadagna 50.000. Il vantaggio per i lavoratori sarebbe comunque concreto, ma con un impatto più sostenibile sui conti pubblici.
Entrambe le opzioni si intrecciano con la riforma Irpef in cantiere, che prevede la riduzione dell’aliquota del secondo scaglione dal 35 al 33%, forse fino a 60.000 euro di reddito. Una combinazione di misure che, nelle intenzioni dell’esecutivo, dovrebbe “premiare chi lavora” e rilanciare il potere d’acquisto.