Costo adozioni: perché non c’è differenza tra enti grandi ed enti piccoli?

Gentile Direttore e gentile staff di Ai.Bi.,

sono un genitore adottivo. Vorrei chiedervi chiarimenti sui costi delle adozioni internazionali. Ai.Bi. è favorevole alla concentrazione numerica delle adozioni su pochi enti, che in questo modo potrebbero fare economia di scala. Cioè distribuire i costi di gestione su un numero maggiore di adozioni, e così ridurre il costo di una singola adozione a beneficio delle famiglie adottive.

Quello che vi chiedo è: ma non esistono già oggi enti che fanno non 10 adozioni, ma  200? Come mai allora non esistono sostanziali differenze di costo dell’adozione tra enti “grandi” e “enti” piccoli? Forse gli enti grandi hanno margini che utilizzano per finanziare altre attività umanitarie? Forse gli enti piccoli riescono a mantenere bassi i costi grazie a un maggiore utilizzo di volontari? Forse hanno standard qualitativi più bassi? E come si valuta lo standard qualitativo di un ente, in base al numero di sedi che ha in Italia e all’estero (parametro più facile da gestire per chi fa molte adozioni) oppure in base all’attenzione, alla professionalità e all’umanità che ha nel seguire ogni bambino e ogni coppia (parametro più facile da gestire per chi ne fa poche)?

Non pensate che anche senza una modifica normativa specifica, se gli enti grandi già oggi proponessero servizi migliori e costi inferiori, la concentrazione delle adozioni su pochi enti non si verificherebbe comunque in maniera “naturale”?

Un saluto,

Paolo

 

CRINO (2)Buongiorno Paolo,

 

domanda più che opportuna, proverò a spiegarmi partendo da un esempio che riguarda il caffè e un’operazione chirurgica.

Quando al supermercato compro un pacco di caffè, posso valutare il rapporto tra prezzo e qualità semplicemente tornando a casa e assaggiandolo. Se sono soddisfatto, lo comprerò nuovamente. Altrimenti comprerò un altro caffè con un diverso rapporto tra prezzo e qualità.

Se però dovessi affrontare un’operazione chirurgica (e volessi farlo privatamente, comprando quindi il servizio sul mercato), non sarei in grado, dopo avere provato l’operazione, di fare una valutazione completa della qualità del servizio offerto rispetto al prezzo pagato e, comunque, l’aspettativa non sarebbe certo quella di replicare l’esperienza per individuare un rapporto tra prezzo e qualità migliore.

Perché? Perché il caffè è un bene semplice da valutare, che viene consumato spesso e che può quindi essere provato più volte per individuare la marca che più ci aggrada. L’operazione chirurgica è invece un servizio complesso, non valutabile nella sua qualità dalle persone senza esperienza specifica e che, certo, sarebbe meglio non valutare attraverso prove ripetute. La qualità delle operazioni chirurgiche è quindi in tutto il mondo definita, più o meno bene, da standard definiti dal regolatore pubblico, in modo che le persone non siano costrette ad occuparsi di questo aspetto, ma possano scegliere in base a parametri più padroneggiabili come la vicinanza a casa, il chirurgo di cui si fidano o i servizi di vitto e alloggio correlati.

I produttori di caffè con i migliori rapporti tra prezzo e qualità (il caffè economico più buono o quello caro ma dall’aroma superlativo) possono quindi  progressivamente affermarsi in maniera naturale. Le cliniche che fanno operazioni chirurgiche hanno invece bisogno di parametri definiti dal  regolatore pubblico per potere essere comparate dai potenziali pazienti. Peraltro, nessuno in Italia accetterebbe mai che un servizio così complesso e delicato non fosse severamente dettagliato.

L’adozione internazionale è un servizio che ha caratteristiche infinitamente più vicine a un’operazione chirurgica che a un caffè. Senza parametri qualitativi definiti chiaramente, il rapporto tra prezzo e qualità non è valutabile da parte delle coppie adottive. Lo stesso prezzo potrà quindi essere praticato anche a fronte di una diversa qualità e viceversa. Non essendo quindi possibile alcuna scelta consapevole da parte delle coppie adottive sulla base del rapporto tra prezzo e qualità, nessuna eventuale concentrazione potrà mai avvenire in maniera “naturale”.

Oggi ci troviamo a nostro avviso in questa situazione: esistono parametri qualitativi troppo limitati per permettere alle coppie adottive una corretta valutazione del rapporto tra prezzo e qualità offerto. Le coppie sono quindi costrette a effettuare la loro scelta sulla base di valutazioni personali, a cui in media manca inevitabilmente una sufficiente competenza in materia, e delle opinioni raccolte magari di seconda o terza mano. Difficile che in questo modo la scelta si concentri progressivamente sugli enti che offrono il servizio più adatto.

Noi siamo convinti che, se questi parametri qualitativi fossero ben definiti (non esistendo un parametro migliore di altri, la valutazione è sempre basata su un insieme di parametri in modo da non privilegiare a priori una forma organizzativa rispetto a un’altra. I due da lei citati potrebbero senz’altro rientrare entrambi nel gruppo di quelli utilizzati), naturalmente le economie di scala porterebbero a una concentrazione.

Ma, anche se ciò non fosse, questi parametri sarebbero comunque utili prima di tutto alle coppie per una scelta più informata e quindi presumibilmente più serena. Ecco il motivo per cui pensiamo che un lavoro di più approfondita definizione degli standard qualitativi dell’adozione internazionale sia quanto mai opportuno.

Cordiali saluti,

Antonio Crinò

Direttore Generale di Ai.Bi.