adozione, la Cassazione apre alla conoscenza delle origini, se la madre è morta

Adozione. Torino, sentenza della Cassazione dà un forte colpo al parto in anonimato: cresce il rischio di incentivare l’aborto

A Torino una giovane figlia di ‘padre ignoto’ e di ‘madre anonima’ ha chiesto di conoscere l’identità di chi l’ha messa al mondo e, per la prima volta, dopo aver ricevuto un diniego da parte del Tribunale per i Minorenni e della Corte d’Appello del capoluogo piemontese, il ricorso alla Cassazione ha fatto sì che potesse ottenere il proprio scopo, nonostante la madre nel frattempo sia morta

I giudici hanno optato per il ‘sì’ non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine di cento anni dalla formazione del documento per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata

adozione, la Cassazione apre alla conoscenza delle origini, se la madre è mortaUn colpo al diritto di una madre in difficoltà a voler restare anonima dopo aver dato alla luce un figlio, un ‘calcio’ forte all’opzione che più di tutte è in grado di ‘liberare’ la mente di una mamma prostrata e incerta sul destino del proprio bimbo in grembo, orientandola a far comunque nascere il proprio bambino, per metterlo poi nella possibilità di essere adottato da una famiglia: è questo il verdetto emesso dalla Cassazione con la sentenza che ha ‘sdoganato’ il diritto a conoscere l’identità della madre richiesto da una ragazza adottata a Torino. Una sentenza che ‘apre’ inevitabilmente al rischio che, sia pur indirettamente, la giurisprudenza incentivi il ricorso all’aborto nella gerarchia delle scelte delle donne, proprio per evitare questo tipo di esiti.

La vicenda torinese ha preso avvio dopo i ‘no’ del Tribunale per i minorenni e della Corte d’Appello del capoluogo piemontese: a questa conclusione i giudici di Cassazione sono giunti tenendo conto del fatto che, nel frattempo, la madre biologica è morta. Ecco perchè hanno deciso per il sì, in virtù del fatto che – come si legge nell’ordinanza della sesta sezione civile della Suprema Corte – “nel caso di cosiddetto parto anonimo sussiste il diritto del figlio, dopo la morte della madre, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’identità personale della stessa“.

Una decisione giunta “non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine di cento anni dalla formazione del documento per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata“. “Una diversa soluzione — aggiunge la Cassazione — determinerebbe la cristallizzazione di tale scelta anche dopo la morte” della donna e “la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio“.

Insomma, se la madre biologica muore, il segreto che la stessa ha chiesto di mantenere andrebbe incontro a una inevitabile “reversibilità“. E si “affievoliscono” fino a “scomparire“, le “ragioni di protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre“. Ecco perché “il ricorso va accolto con decisione nel merito” e si deve “autorizzare” la ragazza “ad accedere alle informazioni relative all’identità della propria madre biologica“.