AfricainFamiglia. La “nuova sfida” di Silvia: “Sono più di 70mila i minori in orfanotrofio: noi ci curiamo di mille di loro. Ma non basta!”

Operare in Marocco significa stare con gli occhi e le orecchie ben aperti, perché sembra che le cose non debbano muoversi mai, ma poi tutto avviene all’improvviso…e bisogna essere preparati!

Oltre 70mila minori in orfanotrofio nel Paese “non sono sicuramente un vanto”: per questo attraverso Ai.Bi. “cerchiamo di trovare soluzioni alternative per questi minori e di portare alle istituzioni il dibattito in tal senso

E’ soltanto una goccia d’acqua nel mare ciò che Ai.Bi. riesce a fare in Marocco con le poche risorse disponibili, eppure dal 1992 Amici dei Bambini segue con progetti di cooperazione allo sviluppo bambini e adolescenti orfani o abbandonati. Dal 2006 si prende cura, in cinque centri di accoglienza, di circa mille minori tra zero e 18 anni, la metà dei quali aspetta ancora un sostenitore che si faccia carico del suo progetto di vita. È questo il modo con cui gli operatori sono impegnati a far sentire un po’ più ‘in famiglia’ l’infanzia abbandonata del Paese.

A presidiare il terreno istituzionale e sociale ci sono piccole grandi figure come quella di Silviaoperatrice di Ai.Bi. in Marocco, che vigila attentamente sulle condizioni e sugli sviluppi dell’infanzia abbandonata nel Paese, affiancando le realtà più in difficoltà e promuovendo l’adozione a distanza per sostenere i centri di accoglienza che Ai.Bi. appoggia al fine di restituire un po’ di serenità e soprattutto un futuro meno oscuro a centinaia di minori senza famiglia. “Sono arrivata in Marocco nel gennaio del 2016, ormai due anni e mezzo fa!”, spiega. La scelta “è stata una proposta del mio desk: una volta definito il piano di intervento di Ai.Bi. per il terremoto in Nepal, mi è stato chiesto di cimentarmi in una nuova sfida, quella di coordinare la creazione di una piattaforma associativa per il monitoraggio delle politiche in tema di infanzia in Marocco, secondo i principi della convenzione internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Decisi con entusiasmo di partire, dopo aver fatto una lunga chiacchierata su Skype con Daniela, la rappresentante Paese che era qui già da otto anni. Una delle cose belle di Ai.Bi. è proprio la passione e la determinazione delle persone che ci lavorano”, sottolinea.

Il senso profondo del suo lavoro quotidiano nel Paese nordafricano lo delinea molto bene lei stessa: “Operare in Marocco significa stare con gli occhi e le orecchie ben aperte, perché sembra che non le cose non debbano muoversi mai, ma poi tutto avviene all’improvviso… e bisogna essere preparati! Inoltre, mentre tutti ti dicono ‘che brava che ti occupi di educazione’, quando spieghi che ti occupi principalmente di una certa categoria di minori e cioè quelli abbandonati, molte persone storcono ancora il naso e cambiano velocemente discorso…non sono sicuramente un vanto, quasi 100mila minori in orfanotrofio…cerchiamo di trovare soluzioni alternative per questi minori e di portare alle istituzioni il dibattito in tal senso, ma allo stesso tempo questo porta a scoprire la polvere sotto i tappeti e non tutti apprezzano!”.

Così come, non di rado non c’è grande apprezzamento né considerazione per le persone per le quali si opera: “Quando scrivo un progetto o parlo della situazione dei minori abbandonati, non dimentico mai che si tratta di esseri umani. Perché questo è quello che i decisori, i rappresentanti e la stragrande maggioranza delle persone non vuole vedere. Sono considerati problemi da risolvere, dossier da collocare, numeri. Non si pensa mai al loro contributo nella società, alle azioni che compiono o compiranno nel futuro, basate sulla loro rabbia o sulla loro speranza. Non si pensa che sono bambini, stanno crescendo, non hanno tempo di aspettare 10 o 15 anni affinché le politiche sull’infanzia migliorino!”.

Il Marocco non esistono dati ufficiali sull’abbandono dei minori, ma sono stimati quasi 70mila bambini fuori famiglia, cifra peraltro data in crescita di oltre il 20 per cento ogni anno. Le statistiche date da associazioni della società civile (in particolare INSAF) stimano a 24 i bambini abbandonati ogni giorno, oltre 8.500 all’anno.

In questo contesto, perciò, diventa fondamentale l’adozione a distanza per dare un senso diverso alla vita di tanti bambini in istituto, che “non si sentono mai speciali. Sono parcheggiati lì da qualche autorità e devono condividere con tanti altri le attenzioni di una manciata di adulti che si occupano di loro, per lavoroIl ‘genitore a distanza’ è un amico speciale che accompagna il bambino nella sua crescita e che festeggia con lui i piccoli e i grandi traguardi. Oltre a contribuire alle spese che il centro sostiene per lui, diventa un confidente, una finestra su un mondo lontano e diverso. È un’occasione per sognare, per raccontarsi, per sentire che dall’altra parte del Mediterraneo c’è qualcuno che si preoccupa per lui”, sottolinea.

Ecco perché Silvia ricorda che attivare un sostegno a distanza significa dare un aiuto concreto e divenire, attraverso gli operatori di Ai.Bi., parte di quella rete di protezione necessaria ad un bambino senza una famiglia, sostegno che un domani gli permetterà di essere un cittadino in grado di godere al 100% di diritti e di doveri”.