La prima Biennale dell’accoglienza, promossa dal Forum delle Associazioni Familiari

Ai.Bi., l’Accoglienza con la “A” maiuscola

Esperienze di accoglienza, tutela e adozione raccontate da figli, genitori e operatori di Amici dei Bambini alla prima Biennale dell’Accoglienza promossa dal Forum delle Associazioni Familiari

Come ampiamente raccontato su AiBi News, si è svolta a Milano la prima Biennale dell’accoglienza, promossa dal Forum delle Associazioni Familiari, su stimolo di realtà come Ai.Bi. Amici dei Bambini, Azione per Famiglie Nuove, Cometa, Comunità Papa Giovanni XXIII, Famiglie per l’Accoglienza, Fraternità e Progetto Famiglia. Si è trattato di un evento di notevole successo, dedicato al tema dell’inclusione e della cura dei più fragili. Tra i protagonisti anche Ai.Bi. Amici dei Bambini, presente non solo con il Presidente e l’Amministratore Delegato, intervenuti nel primo giorno del convegno, ma anche attraverso le voci e le esperienze dirette delle sue famiglie adottive, dei ragazzi adottati e dei sui collaboratori.
Tra questi ultimi, Alice Paolin, referente della sede Ai.Bi. di Mestre, ha portato la sua testimonianza di tutore volontario per minori stranieri non accompagnati, partendo dalle motivazioni che, più di dieci anni fa, la hanno spinta a interessarsi a quei ragazzi che arrivano nel nostro Paese senza adulti di riferimento, familiari o persone care che si prendano cura di loro.

La testimonianza di Alice (Ai.Bi.) come tutore volontario per MISNA

“Tutto è iniziato il 3 ottobre 2013, giorno del terribile naufragio al largo di Lampedusa in cui persero la vita oltre 350 migranti – racconta Alice – Ero profondamente scossa, anche perché avevo da poco finito di leggere il libro di Fabio Geda Nel mare ci sono i coccodrilli, che racconta la drammatica traversata di un minore dall’Afghanistan all’Italia. Inoltre, come capo scout e formatrice AGESCI, sentivo forte l’idea di essere la ‘sorella maggiore’ di quei ragazzi soli nel nostro Paese, privi di tutela e rappresentanza legale.
Il tutore volontario è un cittadino che, gratuitamente, si prende cura di un minore straniero arrivato in Italia, tutelandone i diritti, la sicurezza e il percorso di inclusione. Si tratta di ragazzi soli in terre straniere, spesso reduci da viaggi lunghi e pericolosi. Mi sono chiesta molte volte: perché si mettono in viaggio da soli? Cosa li spinge? E cosa succede quando finalmente arrivano?
La mia avventura come tutore inizia nel maggio 2014, con un corso di formazione presso il Comune di Venezia. Ho scelto di seguire un solo ragazzo alla volta, per potermi dedicare completamente a lui. Il Comune organizzavo anche incontri periodici tra tutori, momenti preziosi di confronto e crescita.
All’inizio immaginavo di accogliere ragazzi provenienti dal Mediterraneo, ma in realtà ha seguito minori arrivati attraverso la rotta balcanica, nascosti nei camion o sbarcati da navi mercantili a Venezia. I loro viaggi erano altrettanto rocamboleschi, anche se meno noti.
Ho accompagnato ragazzi provenienti da Kosovo, Albania e Bangladesh, soprattutto prossimi alla maggiore età. All’inizio temevo di non essere all’altezza, di essere troppo presente o troppo distante. Ma poi, conoscendo ciascuno di loro, tutto si è costruito passo dopo passo, in un incontro tra due mondi che imparano a fidarsi.
Il rapporto con ciascun minore è stato diverso: alcuni capivano il mio ruolo, altri faticavano a comprendere chi fossi, perché intorno a loro ruotavano tanti adulti: assistenti sociali, educatori, operatori… Io ero un’altra ancora.
Il momento più solenne era il giuramento in Tribunale. Giuravo di assumere la tutela per il benessere del ragazzo, in vista del suo “supremo interesse”. Sentivo tutto il peso e la bellezza della responsabilità che mi veniva affidata.

Essere un viso amico per chi vive un momento di difficoltà

Poi cominciavano gli incontri. Mi presentavo, a volte con un mediatore, e iniziavamo a conoscerci. Con ciascuno ho cercato di instaurare un dialogo, rispettando aspirazioni e paure. Ricordo un ragazzo di 15 anni, molto segnato dall’acne, che si vergognava a uscire: ho organizzato per lui delle sedute dall’estetista. Un altro aveva bisogno di cure dentistiche, e mi sono attivata per aiutarlo.
Non mancavano le difficoltà. Un ragazzo non rispettava gli orari di rientro in comunità: ogni sera ricevevo messaggi d’allarme, poi fortunatamente rientrati. Un altro lo fermarono a Firenze senza biglietto: voleva andare a Roma per una festa di Halloween!
Ma non sono mancati anche momenti teneri e di fiducia. Con uno parlavo delle prime cotte, con un altro facevo colazione il sabato mattina a Padova ascoltando i suoi sogni. Alcuni si sono ricongiunti con parenti in Germania o nei Paesi scandinavi. Con pochi resto in contatto, ma uno di loro, tornato per una gita, mi ha chiesto di vederci: l’ho raggiunto a Mantova, e vederlo adulto, felice, è stata la mia più grande ricompensa.
Forse con questo vorrei concludere: sapere che, nonostante tutto, sono ora adulti, che hanno potuto incontrare un viso amico – il mio – in un momento di fragilità, e che ho potuto accompagnarli, anche solo per un tratto di strada.

L’adozione è una cosa meravigliosa

Come detto, nei vari incontri organizzati nella due giorni di convegno, c’è stato spazio anche per il racconto di chi ha vissuto in prima persona l’accoglienza, in tutte le sue forme.
Tra loro, ha portato la propria testimonianza la famiglia Solfrizzi, di Amici dei Bambini, con Renata, Giovanni e la loro figlia Jussara.
“Siamo partiti per il Brasile con tanta voglia di famiglia e sicuramente senza la consapevolezza completa di ciò che ci aspettava – ha esordito Renata. Diciamo che una buona dose di incoscienza ci è stata utile! Sapevamo della denutrizione di Jussara, infatti quando mi chiedono quanti anni aveva quando l’abbiamo incontrata io dico sempre: “aveva quasi tre anni, 8 chili e 76 centimetri” non rideva, non piangeva non camminava e faceva fatica a stare seduta da sola. Ha cercato di crescere in fretta per recuperare il tempo perso, e dopo sei mesi camminava! In Brasile ci siamo resi conto della sua probabile sordità, in Italia abbiamo avuto la conferma di sordità profonda e grazie all’impianto cocleare Jussara ora sente e parla, ha detto “mamma” per la prima volta a 5 anni ed è stata un’emozione grandissima. Col tempo poi si sono affacciati anche nuovi problemi di salute per i quali è costantemente in cura ma ogni giorno e ogni nuova conquista è sempre una gioia, spesso non si da peso alle piccole cose di ogni giorno ma non sempre e non per tutti sono scontate e si impara a gioire di tutto ciò che dà segni di miglioramento.

Innamorarsi sempre delle cose più difficili

Sono passati tanti anni dal primo incontro con nostra figlia Jussara Rita – ha aggiunto Giovanni – ma l’emozione di quel primo abbraccio è sempre molto viva dentro di noi. Aveva solo tre anni ma dimostrava solo pochi mesi: ci siamo subito innamorati – noi di lei, lei di noi – e anche se non parlava glielo si leggeva negli occhi. Diventare genitori, da un giorno all’altro, di un figlio non generato nella carne è una scelta importante, forse anche un po’ incosciente, soprattutto quando si decide di adottare una bambina con bisogni speciali. Ma l’amore fa strani scherzi, ti fa innamorare sempre delle cose più difficili, ti sfida a dare il meglio di te anche quando non sai più che pesci pigliare. La strada è stata, e sarà, lunga e in salita: ma quali genitori non sono disposti a tutto per i propri figli?
Tanti, troppi bambini in tutto il mondo aspettano una famiglia e i bambini resi orfani e spesso feriti e mutilati dalle situazioni di guerra, che in questi ultimi anni vediamo anche in diretta sui social, sono solo una parte di loro. La nostra esperienza ci insegna che per questi bambini, rimasti soli e feriti nel corpo e nell’anima, tornare ad essere figli è una rinascita.
23 anni dopo, Jussara Rita è nostra figlia: da piccola bimba sorda e vittima di una grande malnutrizione è rifiorita e ora, con l’impianto cocleare, sente e parla come noi e si affaccia al mondo del lavoro. Adottare è certamente ridonare la vita a un figlio, ma la ricchezza che ci dona Jussara Rita ogni volta che ci dice quanto è contenta di essere diventata nostra figlia è impagabile!