Bambini: la pornografia del dolore, un sistema formidabile per raccogliere fondi

Negli ultimi mesi sono numerosissimi i messaggi che i mass media trasmettono in chiave solidale per raccogliere fondi destinati a progetti di solidarietà nei riguardi di minori ammalati, poveri, soli o in difficoltà. Ma dietro questa sovraesposizione mediatica non di rado c’è una violazione dei diritti dei bambini al rispetto della propria immagine  

Scavando più a fondo, si scopre che i massicci investimenti pubblicitari compiuti per produrre e mandare in onda questi spot vengono da multinazionali della solidarietà, che spesso tuttavia aprono sedi in Italia soltanto per prendere soldi e dirottarli alle centrali estere

L’emozione di volti di artisti famosi che emergono da una giostra, le testimonianze di genitori straziati inquadrati in primo piano mentre piangono con accanto i figli gravemente ammalati; una voce guida che parla di una grave malattia mentre sullo schermo scorrono le immagini ‘forti’ di bambini malnutriti, ciechi, mutilati, soli: è sempre più frequente e diffuso in questi ultimi tempi l’utilizzo del dolore ‘sbattuto in faccia’ all’opinione pubblica con la proposta finale di donare per risolvere questo o quel grave problema che riguarda e affligge l’infanzia in Italia o nel mondo.

Iniziative che, a ben guardare, non sempre tuttavia ricalcano una chiave di lettura etica. Anzi, questa proliferazione di temi e immagini che raccontano il dolore e la sofferenza ‘senza filtro’ spesso nascondono, dietro la parvenza di azione solidale, un formidabile sistema per la raccolta fondi reso possibile da massicci investimenti pubblicitari proprio attraverso i fondi che si promette verranno utilizzati per aiutare i bambini o le famiglie in difficoltà.

Minori straziati, madri piangenti, padri che raccontano storie drammatiche con la voce rotta dal pianto: è la ‘pornografia’ del dolore che sempre più spesso ci troviamo a ‘fronteggiare’ in TV. Una comunicazione che le emittenti si fanno pagare profumatamente e che, di fatto, viola apertamente i diritti dei bambini.

La domanda, a questo punto, viene spontanea: chi può permettersi tali investimenti? La risposta è semplice: basta guardare i loghi delle ONG che producono questo tipo di comunicazione, le cosiddette ‘multinazionali della solidarietà’. Non poche di queste, peraltro, sovente aprono sedi in Italia con il solo scopo di raccogliere fondi per dirottarli poi alle loro centrali estere: lo conferma il fatto che, a livello organizzativo, alcune di esse hanno nel nostro Paese soltanto dei ‘call center’ molto attrezzati.

Il tema è di stretta attualità e merita senz’altro ulteriori approfondimenti, oltre all’urgenza che attraverso la riforma del Terzo Settore si ponga mano anche a questa realtà grigia e si regolamenti finalmente il settore: non è possibile ‘sprecare’ i soldi della solidarietà e il cuore della gente per gli investimenti in pubblicità, ma soprattutto va chiarito che chiunque raccoglie fondi dagli italiani poi sia vincolato a gestirli in Italia, non a girarli all’estero.