“Beati voi…” perché il regno di Dio è già qui in mezzo a voi

beatitudiniIn occasione della IV Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del libro del profeta Sononìa (Sof 2,3; 3,12-13), della prima Lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 1,26-31) e del Vangelo secondo Matteo (Mt 5,1-12).

 

«Convertitevi, perché il regno di Dio è vicino». Così domenica scorsa il Vangelo di Matteo formulava in sintesi la predicazione di Gesù.

E poi subito dopo l’evangelista racconta delle ‘grandi folle’ che cominciarono a seguire e a inseguire Gesù, da tutta la Palestina e anche da oltre il Giordano. Diremmo, oggi, una fama fulminea e un successo straordinario, legato alle parole e alle opere di questo sconosciuto rabbi della Galilea.

Così, il Vangelo di oggi ci dice che «vedendo le folle, Gesù salì sul monte».

Le folle e il monte, e Gesù.

A chi conosce un po’ la Scrittura – la comunità di Matteo, anzitutto – subito queste tre parole fanno ricordare un episodio assolutamente centrale nella storia di Israele: il popolo, il Sinai e Mosè.

Poi Gesù, con grande solennità, dice Matteo, «si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli». Tra Gesù e la folla c’è il ‘cerchio’ dei discepoli. E anche nell’Esodo, tra la folla, il popolo che stava in piedi, ‘alle falde del monte’ si collocarono i sacerdoti … È come se Matteo volesse fare un netto parallelo tra il Sinai, nell’Esodo, e questo evento importantissimo della storia di Gesù.

Così, con grande cura, viene introdotto il primo discorso di Gesù, un lungo discorso, un grande discorso, un bellissimo discorso.

Rispetto al racconto dell’Esodo, però, c’è un ultimo passaggio da sottolineare. Al centro della scena, in cima al monte, certo, c’era Mosè. Ma non era lui che parlava! Era Dio che parlava dalla nube. Era Dio che donava al popolo eletto le ‘dieci parole’. Mosè le accoglie e le trasmette. Trasmette a sua volta, quello che ha ricevuto, di cui però non è la fonte, l’origine. Mosè è un mediatore della Parola di un Altro!

Qui invece Gesù non riceve nulla. È lui che parla. La sua bocca è la bocca di Dio, è la carne di Dio! Il suo sguardo, le sue parole, i suoi silenzi, i suoi occhi sono la Presenza di Dio stesso tra noi. Non c’è più nessun ‘distacco’ tra Dio e la sua Legge, il decalogo.

Quel decalogo era la Parola di Dio, ma quella Parola veniva trasmessa da mediatori umani, che non erano Dio. Invece qui è abolita ogni distanza: la parola di Dio ci è data attraverso un ‘mediatore’ umano, ma questo uomo è Dio!

È incredibile questa ‘novità’ del Vangelo.

«Si mise a parlare e insegnava loro dicendo…».

Tre verbi per sottolineare l’importanza assoluta, decisiva, della Parola di Gesù, la Parola che è Gesù! Parlare, insegnare, dire.

È una Parola da ascoltare e accogliere in ‘religioso’ silenzio. È una Parola da ‘ospitare’ in noi, perché produca frutto.

E come comincia questo stupendo discorso di Gesù?

Con una parola molto significativa, ripetuta, con grande enfasi, per nove volte.

«Beati» … «Beati … «Beati» … «Beati voi» … E poi, alla fine c’è un imperativo, analogo e simile al «Beati»: «Rallegratevi ed esultate».

Ho detto che alla fine c’è un imperativo. Però, in realtà, i nove beati non sono propriamente un imperativo. Gesù non ci dice: ‘Siate beati’! Questo arriva solo alla fine, quando dice: «Rallegratevi ed esultate…».

Piuttosto quel «Beati» significa ‘siete beati’. Notate: ‘adesso, fin d’ora, siete beati’. Non è sottinteso un indicativo futuro, ‘sarete’, ma un indicativo presente: ‘siete’.

È dal presente, dal dono, che scaturisce il compito, il futuro.

Ecco, potremmo dire che in queste belle parole di Gesù c’è come un ‘gioco’ e una tensione tra il presente e il futuro, tra il futuro, quello che sarà, e il presente, quello che è, ora, già adesso.

Infatti dopo i nove «Beati» ci sono per otto volte, altrettanti ‘perché’: e tra questi perché, il primo e l’ultimo sono al presente, mentre gli altri sei sono al futuro. E sono due parole identiche, questi due perché: «perché di essi è il regno dei cieli». Come a dire il regno dei cieli, cioè la presenza sovrana e graziosa di Dio che opera meraviglie in mezzo a noi, è già qui.

Non è che arriverà, e non si sa quando. È qui!

Questo è il nucleo incandescente del Vangelo! È il centro di tutto.

Le parole dicono la presenza di Dio in Gesù.

E però ci sono anche sei verbi al futuro, ed è un futuro al passivo o con un complemento sottinteso: «saranno consolati …», «avranno in eredità la terra … ». Questi sei ‘perché’ riprendono tutti dei testi della Scrittura, dell’Antico Testamento. Per esempio «perché saranno consolati …» richiama il bellissimo testo di Isaia: «Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta …».

Allora, in questa ‘tensione’ tra futuro e presente, tra un dono già dato e un futuro che in quel dono è già anticipato, che cosa c’è in mezzo?

Tra il dono e il suo compimento, in mezzo, c’è la nostra risposta, la nostra decisione.

Lo vuoi accogliere questo dono? Il dono ti è già anticipato, ma se tu non lo vuoi, lo perdi.

Tutto è già deciso – il dono, il regno dei cieli – ma tutto dipende da te.

Questo ci richiama alla responsabilità della nostra risposta. Il dono di Dio, la sua grazia sovrabbondante è un appello e attende la nostra libertà.

In effetti, c’è un contrasto molto forte tra la promessa di Gesù, che è già presente, e le persone a cui lui si rivolge. C’è un contrasto evidente tra il ‘beati’, con la promessa, e gli uditori di Gesù, quelli che lui aveva davanti a sé – Luca nel passo parallelo conserva probabilmente la forma originale delle parole di Gesù: «beati voi … »! – e noi, che oggi qui in chiesa ascoltiamo questa Parola.

Prendiamo la prima beatitudine, e la seconda, per vedere questo contrasto: «Beati», «poveri», «di essi è il regno». C’è qui un evidente paradosso: come possono dei poveri essere dei ‘re’ e quindi essere fin d’ora beati?

E la seconda: «Beati quelli che sono nel pianto, saranno consolati».

Saranno consolati da Dio, ma adesso sono nel pianto. Possederanno il regno, ma adesso sono poveri. Avranno in eredità la terra, ma adesso sono miti, sono persone che non si impongono con la forza … E così via.

È però centrale, illuminante, sintetica, la parola ‘povero’.

Il povero, come ci ricorda la prima lettura, dal profeta Sofonia, è colui che cerca «la giustizia», che cerca «l’umiltà», è colui che trova riparo nel Signore, è colui che è «umile» è colui che confida «nel nome del Signore», è colui che non commette «iniquità», è colui che non è falso e fraudolento, è colui che esegue gli ordini del Signore.

Una cosa simile la dice anche Paolo, nella seconda lettura: Dio ha scelto ciò che nel mondo è «stolto», «debole», «ignobile e disprezzato».

Il povero è come un ‘mendicante’, che sta ai piedi del Signore, e da lui attende tutto con fiducia.

Il povero è colui che sperimenta tutta la fatica del vivere, è colui che è nella prova, per tutte le fatiche e le asprezze della vita.

Ma questo povero non cessa di sperare, di credere, di amare.

Confida in Dio.

Confida in Gesù.

Un giorno sarà pienamente quello che è già.

Vedrà Dio, sarà suo figlio, beato!