Colombia. L’adozione è una strategia vincente ma la troppa burocrazia frena l’accoglienza

claudia-dangond-gibsoneLa burocrazia è nemica dell’adozione. Se ne sono da tempo resi i conto i Paesi tradizionalmente più accoglienti, tra cui il nostro, dove, tra le principali cause del progressivo allontanamento delle famiglie dalla realtà dell’adozione internazionale, viene citato spesso un iter burocratico troppo lungo e complesso. E ora stanno avviando una riflessione in materia anche i Paesi di origine. Che, contrariamente a quanto solitamente si credeva, cominciano a dirsi seriamente preoccupati del generale calo delle adozioni internazionali.

L’ultimo caso è quello della Colombia, dove la testata giornalistica “El Tiempo” ha recentemente proposto una riflessione sul tema dell’avvocato e giornalista Claudia Dangond-Gibsone.

La quale parte da una premessa fondamentale: l’adozione è una strategia vincente. “Gli adottati hanno l’opportunità di crescere in famiglia – spiega – e gli adottanti di soddisfare il loro desiderio di allargare il nucleo familiare, fornendo le condizioni adeguate per un bambino che non le ha potute trovare altrove”. Il tutto con il beneplacito dello Stato  che garantisce che il minore cresca nelle mani di una famiglia in grado di soddisfare i requisiti etici e materiali per costruire i cittadini del domani: amore, solidarietà, generosità, rispetto delle regole, onestà.

“La famiglia è il nucleo fondamentale della società – ricorda la giornalista -. Più i bambini imparano e si sviluppano in famiglia, fin dalla tenera età, più si può essere sicuri che gli uomini di domani saranno cittadini che fonderanno la società sugli stessi pilastri” su cui si basa la loro educazione.

In Colombia, però, le adozioni sono in calo. E “non per la mancanza di bambini o di famiglie che desiderano accoglierli”, evidenzia Claudia Dangond-Gibsone. “Dal 2012 – spiega -, dopo una sentenza della Corte Costituzionale, l’Icbf (Instituto Colombiano de Bienestar Familiar, Autorità Centrale del Paese sudamericano, ndr), caratterizzato dall’essere relativamente efficiente, è preda di norme e interpretazioni giudiziarie che non gli permettono di condurre in porto un numero maggiore di adozioni. Per ogni bambino abbandonato dai suoi genitori biologici, infatti, l’Icbf oggi è tenuto “a cercare di rintracciare i membri della cosidetta ‘famiglia allargata’: nonni, discendenti, parenti collaterali legittimi fino al sesto grado, fratelli naturali…”, perché “secondo la Corte a questi spetta per primi la ‘protezione, la cura e l’assistenza” dei minori.

Di conseguenza, i bambini che ricevono il “certificato di adottabilità” sono sempre meno, perché essere riconosciuti ufficialmente abbandonati “può richiedere anni”. Nel frattempo molti aspiranti mamme e papà continuano a nutrire speranze che spesso vengono frustrate. E migliaia di bambini trascorrono anni perdendo l’opportunità di essere accolti, curati e formati da genitori idonei, desiderose di amarli e di insegnare loro i valori familiari.

I dati, del resto, parlano chiaro. Il numero complessivo di minori colombiani adottati, tra adozione nazionale e internazionale, è sceso da 3.058 del 2010 a 1.148 del 2014.

La preoccupazione colombiana non è un caso isolato. Ricordiamo che recentemente, ad aprile 2015, anche le autorità brasiliane avevano espresso apprensione per il calo delle adozioni internazionali, sottolineando l’importanza di arginare questa crisi, ricorrendo, innanzitutto, a una riduzione della burocrazia e dei costi.

 

Fonte: El Tiempo