Psicologia dell’Adozione. Come porsi nei confronti della mamma biologica? Quando parlare delle origini? Come farlo?

Una delle prove più difficili per la coppia adottiva è il rapporto emotivo con la madre biologica del bambino. In che modo ci si deve rapportare? Quando parlare con il minore delle sue origini? Vediamo insieme come affrontare questa complessa questione

La coppia che sceglie di diventare famiglia attraverso l’accoglienza adottiva vive un caleidoscopio di sentimenti contrastanti nei confronti della mamma biologica.
Da una parte prova gratitudine per il “dono” della vita data al bambino, che tra le altre cose ha permesso loro di realizzare il desiderio di maternità e paternità; dall’altra prova sentimenti di angoscia e paura per il fatto che un giorno il loro figlio potrebbe andare alla ricerca delle origini e nel confronto scegliere di restare con la mamma che lo ha generato.
A questo si aggiungono sentimenti di rabbia che attanagliano il genitore tutte le volte che il figlio sente la sofferenza generata dallo “strappo” abbandonico o dai ricordi di vita, di maltrattamenti, nel caso ne avesse subiti, ai sentimenti di inadeguatezza che lo pervadono tutte le volte che si interroga sul perché sia stato abbandonato.
Infine, se il bambino non ha una storia pregressa, perché abbandonato alla nascita in istituto, o trovato per strada, si aggiunge la frustrazione per i genitori di non sapere dare le risposte alle domande sulle sue origini.
Tutto questo groviglio emozionale è lo stesso che sente anche il figlio, solo che, dal momento che riguarda la sua vita in maniera diretta e i suoi buchi di personalità da ripristinare, probabilmente sarà più complesso per lui riuscire a dipanare la matassa di sensazioni. Anche perché c’è la possibilità che non sia in grado di identificarle e, di conseguenza, non sia semplice per lui farsi comprendere e chiedere aiuto.

Come porsi nei confronti della mamma biologica? Quando parlare delle origini?

Il primo lavoro da fare è sulla coppia genitoriale. Prima che arrivi il bambino, prima ancora di conoscerlo attraverso un abbinamento cartaceo, già prima di conoscere il paese di provenienza, la storia, l’età, il sesso, è importante fare un buon lavoro di consapevolezza di sé, di conoscenza delle proprie risorse e anche delle proprie paure.
La mamma biologica è stata in grado di fare una cosa che, con tutta probabilità, alla coppia adottiva è stata negata: far nascere un bambino.
Se questa ferita non è stata sufficientemente elaborata si rischia di sentirsi “genitori surrogati” e l’ombra dei genitori biologici oscurerà tutto il percorso di crescita della famiglia, non permettendo una buona “ricostruzione” della personalità del bambino, né una buona interiorizzazione delle figure genitoriali che lo hanno accolto.
Così tutte le volte che il figlio farà delle domande o porterà delle paure, delle curiosità in merito alle sue origini, troverà una barriera da parte dei propri genitori fatta di paure, di adeguatezza, di dolore e di fragilità, perché nel confronto con le immagini genitoriali biologiche, la coppia adottiva si sentirà sempre perdente.
In questa spirale inoltre sarà la madre quella che farà più fatica, poiché la perdita dell’esperienza della gravidanza la riguarderà in maniera diretta, viscerale.
Parlare delle origini è un percorso che deve avvenire fin da subito, il bambino ha bisogno di recuperare ogni aspetto della sua persona e il genitore adottivo deve esercitare la funzione di ricostruzione, che è proprio la caratteristica che lo rende differente dal genitore biologico.

Come si fa a “ricostruire”? Quando?

Ancora una volta i tempi li detterà il bambino, i genitori dovranno restare in un “ascolto attivo” e in questo modo saranno in grado di dare delle risposte quando il figlio le chiederà.
L’ascolto attivo prevede un grado di apertura, di empatia, di serenità rispetto alle “domande scomode”, ma anche alla difficoltà di non avere le risposte, se certe informazioni non si hanno.

Un genitore deve sempre avere le risposte? No, quello che conta è esserci!

Il bambino in stato di abbandono sperimenta l’assenza, il vuoto, la rottura, perché la madre biologica smette di prendersi cura di lui, si sente strappato. Il genitore adottivo ha il compito di recuperare quello strappo, di ricucire il buco, di colmare il vuoto.
L’assenza che diventa presenza, anche se non ci fossero le risposte, anche se non ci fosse una storia da raccontare. La presenza riempie i vuoti, l’esserci cura la ferita dell’abbandono, le domande sulle origini, quando si è a conoscenza delle risposte, medicano i buchi di personalità.
Rispondere alle domande non allontanerà il proprio figlio dal nucleo familiare, andare alla ricerca, anche attraverso un viaggio, delle proprie origini non implicherà una fuga o un abbandono dalla famiglia adottiva, il proprio figlio non sta scegliendo una madre al posto di un’altra, perché le due figure genitoriali, mamma biologica e mamma adottiva, non coesistono, ma rappresentano un “prima” e un “dopo”, un “passato” e un “presente”.

La ricerca delle origini

Il figlio che si accinge alla ricerca delle origini sta cercando di recuperare tutti i pezzi del puzzle che compongono la sua vita, sta tentando di integrare il mosaico della sua storia, pertanto quella delle domande è una porta che bisogna lasciare aperta fin dal primo giorno in cui il bambino arriva nella coppia che lo accoglie attraverso l’adozione.
La narrazione è molto importante e la coerenza lo è altrettanto, la storia deve essere adattata all’età di riferimento e man mano che il bambino cresce, anche il modo di narrare subisce mutamenti e arricchimenti di notizie, ma senza mai cadere nel desiderio di raccontare cose diverse dalla realtà e cambiarle nell’attesa che il bambino diventi grande e forte abbastanza per sapere come veramente stanno le cose. In questo modo non stiamo proteggendo nostro figlio, che si sentirà confuso e smarrito, ma stiamo proteggendo noi stessi dall’angoscia di un dolore che non sapremmo gestire.
Dalla “favoletta” raccontata quando è più piccolo, alla “storia familiare” raccontata man mano che cresce, il genitore avrà il compito di mettere sul tavolo le tessere per aiutare a integrare gli aspetti di personalità che ognuno ha il diritto di avere in modo adeguato per affrontare la vita.

Lucia Ciaramella
Psicologa della sede di Salerno di AI.Bi.