Quando il dolore rimosso riemerge: il percorso verso la stabilità emotiva in un bambino adottato

Paure persecutorie e il cammino verso la fiducia. Patrizia, un’adolescente di 15 anni, è perseguitata dalla paura che il padre biologico, di cui non ricorda nulla, possa tornare a portarla via

Questo timore, alimentato dalla recente compilazione di dossier fotografici, riflette angosce più profonde legate alla perdita e all’abbandono. Nell’ambito di un’adozione, il bisogno di una base sicura è cruciale per affrontare e risignificare il dolore del passato. Il percorso terapeutico, intrapreso con resistenze iniziali, ha fornito a Patrizia gli strumenti per esplorare queste paure e ritrovare il suo “posto nel mondo”.
Ma il viaggio verso la guarigione è ancora lungo e complesso, come per molti bambini adottati. 

L’analisi della psicologa

L’ambiente degli istituti è caratterizzato dalla presenza di molti bambini e di pochi adulti: è facile immaginare quanto il bisogno di ordine, di controllo e di uniformità dei comportamenti finisca con il prevalere a discapito della possibilità di creare il un legame esclusivo, rassicurante, stabile e continuativo che rappresenta la base di una relazione di fiducia di cui disporre, per “mettere ordine” nella propria vita e per elaborare i dolore, il vissuto di fallimento e la sfiducia di base nelle relazioni, originate dal vissuto abbandonico.

Riappropriarsi di una dimensione “di figlio”

C’è il dolore di un bambino che è stato abbandonato, che ha perso le proprie radici, che ha sperimentato incuria, maltrattamento o in ogni caso un ambiente disfunzionale, in cui è cresciuto senza poter sperimentare l’amore esclusivo di un genitore e di una figura protettiva.
Con l’adozione, il bambino si riappropria di una dimensione “di figlio”, sperimenta la percezione di disporre di una base sicura da cui muovere alla (ri)scoperta degli avvenimenti dolorosi e spesso traumatici che hanno caratterizzato il suo vissuto precedente all’adozione.

Trovare un posto sicuro

L’arrivo di due genitori che sono lì per e con lui, a resistere ai comportamenti di sfida necessari per tastare la “tenuta” del terreno, a sostenerlo nei momenti difficili, rappresentano la possibilità di creare un contesto in cui si percepisca di poter essere autentici, di poter esprimere le proprie emozioni, anche quelle più dirompenti e distruttive, poter chiedere aiuto esterno qualora se ne percepisca il bisogno, consentirà di risignificare gli avvenimenti pregressi, di trovare un posto sicuro per tutto quel dolore e giungere alla consapevolezza che nuovi capitoli della propria vita potranno essere scritti.
Il nostro corpo e la nostra mente tendono a rifuggire il dolore e per farlo mettono in campo diverse strategie, tra cui a rimozione. Questo, però, non significa che siano in grado di eliminarlo. Il rischio è che si ripresenti proprio quando non ce lo aspettiamo e per questo siamo più impreparati ad affrontarlo.

I dossier fotografici

Non di rado, è a distanza di diversi mesi, a volte anni, che (ri)emergano angosce e paure che parevano ormai superate e che possono essere alimentate da eventi apparentemente neutri, quali ad esempio l’invio di dossier fotografici per i previsti adempimenti post adottivi presso le Autorità dei Paesi di origine dei bambini che il bambino teme possano facilitare la localizzazione da parte delle famiglie biologiche. Si tratta spesso di fantasie persecutorie rispetto a figure di cui i bambini a volte fanno fatica a ricordare anche solo le caratteristiche fisiche, ma che si teme possano tornare, e portarli via con sé.
In tali circostanze non risulta quasi mai sufficiente, fornire strumenti tecnici e di conoscenza quanto piuttosto risignificare tali angosce e restituirle al bambino come timore di perdere qualcosa a cui sente ormai di appartenere ed essere il suo “posto nel mondo”.
Possono esistere molteplici situazioni che inducono due genitori biologici a rinunciare al proprio ruolo, in alcuni casi in maniera diretta, molto più spesso a seguito dell’intervento di autorità preposte per gravi e reiterate deprivazioni o condizioni di pericolo. Il compito più complesso per il figlio sarà quello di comprendere che, se due genitori rinunciano, più o meno consapevolmente, al loro ruolo è perché non sono in grado di prendersi cura di un individuo e che il figlio non aveva nulla a che fare con tale decisione e, soprattutto, che non ha fatto nulla per provocarla ma che quella condizione di sofferenza iniziale si è tramutata in altre cure, calore e protezione talmente significative da indurre nuove angosce di perdita.

Serenità e verità nell’adozione

Un bambino adottato ha bisogno di sentire che i genitori siano sereni rispetto alla sua storia di adozione.
La verità è sempre da preferire: prima la si conosce, prima si identifica l’impatto che ha sui genitori e sul proprio figlio, prima risulta possibile agire, qualora necessario anche contattando uno specialista per intervenire e supportarlo.
Non è facile ma è fondamentale raccogliere tutte le proprie forze e le proprie risorse per accettare il suo malessere e la frustrazione che questo provoca anche in voi genitori.
Il fatto che il bambino sia stato inserito nel canale dell’adozione internazionale implica un doppio fallimento, quello dei genitori biologici e quello del suo Paese di origine.
La verità potrebbe fare apparentemente male sia a lui che a noi, riaprendo delle ferite, ma è alla base di un rapporto sano e autentico.
Chi accoglie in adozione un bambino, non accoglie solo il bambino, ma tutta la sua storia compresi gli incontri con gli operatori, con le istituzioni, con tutte le sofferenze che lo hanno preceduto.

Marina Gentile
Psicologa e Psicoterapeuta Ai.Bi.

Informazioni e domande sull’adozione internazionale

Chi sta considerando un’adozione internazionale o semplicemente desidera avere maggiori informazioni a su questi temi, può contattare l’ufficio adozioni di Ai.Bi. scrivendo un’e-mail a adozioni@aibi.it. Dona per il Fondo Accoglienza Bambini Abbandonati