Psicologia della Adozione. “Tu non sarai mai padre!”: come superare il diniego della idoneità?

Tra speranza e delusione: il viaggio delle coppie verso l’adozione è fatto di numerosi passaggi e non sempre l’esito è positivo. Ecco come sintonizzarsi sui bisogni di un bambino abbandonato

Quando una coppia decide di adottare inizia un iter lungo e faticoso che viene spesso vissuto come un impedimento al percorso stesso, come uno “scavare dentro la ferita”, come un processo al cui termine si decide se si può essere genitori oppure no.
Non è infrequente la domanda provocatoria e pregna di frustrazione che le coppie rivolgono a i tecnici: “Perché le coppie che hanno figli biologici non devono fare tutto questo percorso, non devono chiedere il permesso per avere figli, e noi sì?”.

Il percorso verso l’adozione

Ci si sente giudicati e pressati, ma non è così, attraverso la conoscenza della coppia, dell’ambiente familiare in cui è immersa e del contesto in cui vive i tecnici valutano se minori in stato di abbandono possono essere ricollocati all’interno di quel sistema familiare.
L’attenzione non è puntata sulla coppia, che ha trovato negli anni un suo equilibrio e una sua strutturazione, ma sul minore che viene da un contesto diverso, ha una storia alle spalle diversa, spesso disfunzionale e violenta.
Queste esperienze che ha vissuto lo portano parlare una “lingua diversa”, non solo dal punto di vista semantico ma anche emotivo e psicologico, questo fa sì che un abbraccio, che nella lingua della coppia significa contenimento e tenerezza, per il bambino significa pericolo ed è temuto, per cui ci se deve difendere e schermare: la presenza dell’adulto che nel linguaggio della coppia sta a significare la possibilità di appoggiarsi, per il bambino è fonte di angoscia, a volte così forte da scatenare la eccessi di violenza che possono concludersi in vere e proprie aggressioni che disorientano il genitore, che i si sente temuto e rifiutato, mentre avrebbe voluto solo proteggere.

Sintonizzarsi sui bisogni del bambino

Talvolta i bambini alzano muri che sembrano invalicabili e i genitori devono attingere alle loro risorse, perché questi comportamenti possono restare invariati per molto tempo ed è indispensabile una grande capacità di tolleranza, perché dinanzi ai reiterati rifiuti la naturale tendenza sarebbe quella di difendersi e irrigidirsi, ma l’accoglienza avviene solo attraverso la flessibilità.
Soltanto quando si è in grado di sintonizzarsi su bisogni del bambino si crea appartenenza e un linguaggio comune. Il primo passo è nel riconoscimento delle reciproche ferite, quella dell’abbandono per il bambino e quella della culla vuota per la coppia. In questo modo ci si riconosce perché il sentimento è lo stesso e si crea vicinanza.
Dietro un percorso di accoglienza c’è dunque tanto lavoro personale e di coppia, fatto di numerosi passaggi e può accadere che qualcuno di questi sia ancora acerbo, se nonostante ciò si continua nell’iter il rischio di fallimento adottivo è elevato e questa è un’esperienza distruttiva sia per il bambino, che per la coppia, che spesso non riesce a superare un evento tanto traumatico e si separa.

Un invito ad approfondire

Alla luce di questo, lo stop che si dà alle coppie non deve essere vissuto come una “bocciatura” alla capacità genitoriale, ma un invito a decelerare, a rivedere meglio una serie di aspetti, ad approfondire, ad ascoltarsi meglio, a lavorare sugli aspetti carenti, dal momento che la realtà in cui si sta impattando è complessa sotto tutti gli aspetti: emotivi, psicologici, sociali e culturali.
Una opportunità per interrogarsi se si hanno le risorse per accogliere i minori in stato di abbandono alla luce delle mille complessità della situazione.

Dott.ssa Lucia Ciaramella, Psicologa di Ai.Bi.

Informazioni e domande sull’adozione internazionale

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