Come si diventa un MISNA, cioè un minore straniero non accompagnato?

profugo_bambino 200Dall’Africa, al mondo. Dal deserto di opportunità, al miraggio di una vita nuova. Ai migranti che partono dall’Africa si affidano le speranze di interi clan familiari e villaggi.

E questo vale per tutti i migranti, minorenni compresi. Che intanto non si percepiscono come tali. Per i minori stranieri non accompagnati la convenzione di Ginevra piuttosto che quella di New York sono diritti che non albergano nemmeno nella loro fantasia. Hanno visto in faccia la guerra, la morte, la fame, la sofferenza. E l’unico loro desiderio è fuggire.

La spinta a viaggiare verso l’ignoto deriva non poche volte dal fatto che non hanno nessuno dietro di sé. L’Aids è tra le prime cause di morte in Africa: non sono pochi gli orfani che senza affetti e punti di riferimento si abbinano alle carovane dei migranti. Durante il viaggio un conoscente diventa ‘zio’, un coetaneo ‘cugino’, un compagno d’avventura, ‘fratello’. Come tali si presentano a chi deve identificarli in Italia, e poi, una volta accertata la mancanza di effettiva parentela, i minori vengono inseriti nell’elenco dei Minori stranieri non accompagnati.

La presenza massiccia di bambini e adolescenti soli tra i migranti in fuga è stata al centro di un’interrogazione urgente, sottoscritta nei giorni scorsi da numerosi senatori PD, rivolta ai Ministri del Lavoro e delle Politiche sociali, dell’Interno, e dell’Integrazione. L’appello rivolto al Governo era di garantire “strutture di accoglienza per minori rispondenti agli standard stringenti previsti per legge”.

Ma forse è tempo che il nostro Paese e l’Europa inaugurino una politica lungimirante in tema di diritti dei minori stranieri non accompagnati. Gli adolescenti che arrivano sulle nostre coste magari sono da anni orfani o bambini che vivono in stato di abbandono. Perché non salvarli una volta per sempre?

Basterebbe firmare accordi bilaterali con gli Stati africani a forte emigrazione per garantire ai bambini abbandonati il diritto di essere bambini, e quindi figli. Piuttosto che ignorare il loro dramma abbandonandoli alla buona sorte; sperare che non finiscano nelle mani dei trafficanti di uomini; che le onde del Mediterraneo non li inghiottano; che riescano con le loro forze a crearsi un futuro onesto e dignitoso.

Troppo comodo, per Paesi che si ritengono civili, limitarsi ad affrontare le emergenze dei profughi nei propri territori. Come se tutto l’invisibile che accade in Africa non fosse un problema anche nostro.