“Con Panthaku sono diventato un amico migliore”. Il modello peer to peer scuola che funziona

2 mesi di Peer to Peer con Ai.Bi:  le storie di 132 studenti tra Salerno, Santa Maria Capua Vetere e Catellamare di Stabia

“Ho imparato ad essere amico di tutti e a non far male a nessuno”. E ancora. “Mi è servito a crescere e a diventare una persona migliore”. E i grazie, i sorrisi, i cartelloni, i bigliettini, i giochi, le simulazioni, le mani strette, lo sguardo nuovo sui compagni, le relazioni che si cementano e si fanno spazio di confidenza e di confronto. Tutto questo e altro ancora ha accompagnato i due mesi del laboratorio Peer to peer del progetto “Panthakù. Educare dappertutto”, basato sul programma di intervento anti-bullismo Bic (Bullying in Institutional Care) sperimentato per due anni (2016 e 2018) da Ai.Bi. Amici dei Bambini grazie al co-finanziamento della Commissione Europea, con il coinvolgimento di dieci partner provenienti da cinque Paesi europei (Italia, Francia, Grecia, Bulgaria e Romania).

Di storie, in oltre quaranta ore, Italia De Michele ne ha ascoltate tante, rapportandosi con 93 studenti delle prime classi delle scuole secondarie di I° grado degli istituti comprensivi Calcedonia e Rita Levi Montalcini di Salerno. Parte importante del programma del laboratorio, efficace a fare emergere storie, aneddoti e a far guardare le situazioni con occhi più attenti e “professionali”, è stato il focus specifico sul bullismo: “I ragazzi pensavano che per essere definiti bulli fosse necessario commettere violenza fisica su qualcuno – racconta – invece alla fine del percorso hanno capito che basta escludere un compagno o travalicare i limiti dello scherzo, per finire intrappolati in questo pericoloso meccanismo”.

All’inizio non è stato semplice. Poi, con pazienza e tanta passione, i baby alunni hanno imparato ad aprirsi e a confidarsi. C’è chi ha raccontato le difficoltà vissute alle scuole elementari, quando intorno si è sentita attaccare l’etichetta della “diversità”, semplicemente perchè veniva da un altro paese e parlava un’altra lingua. Chi ha sofferto molto, senza sapere con chi potersi confidare, perché escluso da giochi e feste solo perché più cicciotello e chi ancora, è stato denigrato per i suoi gusti musicali e il suo look alternativo. Storie piccole, ma solo all’apparenza, che hanno il sapore di infanzie da monitorare e da accompagnare con l’uso sapiente delle parole e di nuove strategie educative. “Quando ho letto i loro biglietti mi sono commossa – continua Italia – Tra di noi si è creato un legame profondo. Mi hanno visto come l’adulta amica con la quale potersi confidare, senza temerne il giudizio e alla fine mi hanno chiesto anche dei piccoli consigli di cuore…”. Ma come si fa a parlare di un problema come il bullismo che colpisce oltre il 52 per cento dei giovanissimi (dati Censis), arrivando a colpire fasce di età sempre più basse? “Aiutandoli a ragionare in termini di emozione, a renderli consapevoli che la rabbia si può e si deve gestire, che dialogando si risolvono molte più cose che escludendo o usando violenza”, spiega Miriam Cozzolino, che ha seguito 39 studenti tra gli istituti comprensivi Principe di Piemonte (Santa Maria Capua Vetere) e Luigi Denza (Castellammare di Stabia). “Abbiamo parlato di prosocialità attraverso dei role playing che hanno consentito ai ragazzi di simulare delle situazioni e di comprendere come si sente una vittima e quali difficoltà è costretta ad affrontare”.

Il risultato è stato sorprendente ed emozionante come si evince dalle frasi alla lavagna con le quali i giovanissimi studenti hanno codificato il bullismo. E se c’è stato chi ha ammesso di averlo subito, c’è stato anche chi ha confessato di esserne stato attore protagonista: “Ora ho compreso e non sarò mai più così”. Lezioni teoriche, giochi, esercitazioni, questionari di verifica, hanno tessuto una rete solida di competenze, per dare ai ragazzi i giusti strumento cognitivi e trasmettere loro il messaggio più importante: il diverso da se non esiste. E se esiste, è solo un valore aggiunto che ci fa crescere attraverso il confronto.

“I nostri studenti sono stati entusiasti – afferma Cozzolino – lavorando insieme diventiamo tutti più forti, imparando a fare squadra”. Da settembre, i ragazzi saranno protagonisti della sperimentazione di quanto appreso diventando essi stessi peer educator.