Diritto dell’adottato ad accedere alle informazioni sulle proprie origini e funzione sociale del parto in anonimato: necessario un bilanciamento tra interessi contrapposti

Dopo la trasmissione “Chi l’ha visto? ” si è acceso il dibattito sulla legittimità del diniego della madre, dopo il parto in anonimato, di consentire all’adottato di avere la propria identità per il caso in cui la richiesta fosse motivata da motivi di salute

Fa discutere la proposta di una nuova legge che aiuti i figli adottati a recuperare informazioni utili sulle proprie origini allo scopo di tutelare la propria salute. La discussione è emersa a seguito della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto? ” in cui una donna adottata e malata di cancro ha lanciato un appello per cercare di convincere la madre naturale – che già aveva negato tramite la procedura ordinaria davanti al Tribunale per i minorenni di rivelare la propria identità – a farle una donazione di sangue a scopo terapeutico.

Esperti dell’Istituto degli Innocenti di Firenze si sono pronunciati a sostegno della proposta, rivelando che già da qualche anno in parlamento giace una proposta per assicurare l’accesso alle origini.

Il parto in anonimato come estrema tutela della vita umana

Qui vogliamo svolgere alcune importanti considerazioni, perché, se è vero che ci sono importati interessi in gioco anche in funzione del diritto alla salute garantito dalla Costituzione, è pur vero che vanno valutati tutti gli interessi che verrebbero toccati nel caso si assicurasse indistintamente l’accesso all’identità segreta di chi ha deciso di partorire in anonimato.
Probabilmente tutti sanno che nel nostro Paese abbandonare un bambino alla nascita, una volta che sia stato registrato, è un reato (art.591 del codice penale).
Forse non tutti sanno, invece, che l’aborto non è consentito nel nostro Paese come ricondotto a una libera scelta della madre di non partorire il figlio concepito: la legge che regolamenta l’aborto, infatti, lungi dal riconoscere un potere decisionale di questa ampiezza alle gestanti, prevede invece una serie di interventi di sostegno alla donna in attesa allo scopo di tutelare la sua vita e la sua salute e prevede che l’aborto sia una soluzione ultima cui può giungere solo un medico come rimedio al fatto, accertato, che la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un “serio pericolo per la salute fisica o psichica” della gestante.

Ecco, quindi, che la legge 194/1978 chiarisce, in primo luogo, che l’Italia “riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio” e precisa che l’interruzione volontaria della gravidanza “non è mezzo per il controllo delle nascite”.
Tra le attività che questa legge rimette alla competenza dei Consultori familiari, vi sono quelle che hanno lo scopo di contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna in difficoltà a non proseguire con la gravidanza, e in questo quadro devono essere fornite alla donna informazioni sui servizi e le strutture che consentano di supportare la donna che abbia particolari situazioni legate all’attesa del figlio. Tra gli interventi di supporto alla genitorialità e di prevenzione dell’aborto, vi è certamente il dovere di informare la gestante della possibilità prevista in Italia di partorire in anonimato dichiarando la scelta eventualmente anche nello stesso ospedale ove abbia luogo il parto.

Nel caso di bambino nato da madre che desideri non essere nominata (DPR n.396/2000 art. 30) la registrazione all’anagrafe avverrà nel rispetto di questa volontà: nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”. In questo caso il nome della madre rimane per sempre segreto ed è prevista l’attivazione di procedure speciali per agevolare l’adozione.
Per effetto di questa procedura, la madre ha un diritto all’anonimato che la legge prevedeva in una durata di 100 anni proprio in relazione con la funzione sociale di questo istituto ai fini della prevenzione dell’aborto.

Il necessario bilanciamento degli interessi del figlio e della madre

La situazione attuale, in cui il divieto assoluto di accedere ai dati della madre, previsto dalla legge, è stato dichiarato incostituzionale (cfr. sentenza 278/2013 della Corte Costituzionale dopo il caso deciso dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo 25/9/2012 caso Godelli contro Italia), apre un delicato scenario, perché il diritto dell’adottato di accedere alle informazioni sulla propria origine, che ultimamente è supportato da studi che collegano tale accesso all’equilibrio psichico della persona adottata, non può non fare i conti con l’altra faccia della medaglia.

Finora i Tribunali per i minorenni si sono adoperati rimettendo la decisione alla madre stessa. Oggi, quindi, è previsto che gli adottati nati da madre ignota, al pari degli altri adottati, una volta compiuti 25 anni possano chiedere di accedere alle informazioni, sarà poi il Tribunale a decidere, dopo avere sentito il parere dei servizi socio-assistenziali degli Enti locali per verificare che tale accesso sia opportuno per il richiedente, ma anche dopo avere interpellato la madre: nel caso in cui la madre accettasse, l’accesso sarebbe consentito. Viceversa, no! Fin qui il bilanciamento degli interessi in gioco è equilibrato.

Oggi, tuttavia, il dibattito diventa più delicato perché si sta mettendo in discussione il diniego della madre di consentire all’adottato di avere la propria identità, per il caso in cui, come detto, la richiesta fosse motivata da motivi di salute.
Eppure, il bilanciamento delle posizioni contrapposte, cui occorre rivolgere lo sguardo quando si tratta di temi così delicati, ci dà già una risposta: quale salute dell’adottato potrebbe mai essere garantita se molte più donne decidessero di non proseguire la gravidanza al punto da trovare nell’aborto l’unica soluzione?

È evidente che, se fosse accolta la proposta avallata dall’Istituto degli Innocenti, si rischierebbe di incentivare l’aborto proprio a causa del crollo della tutela dell’anonimato, che fonda la scelta di molte donne di abbandonare i propri nati regalando loro i doni della vita e dell’adozione.

 

Ufficio Diritti dei Minori Ai.Bi.