“Ebbene sì, io lavoro nel settore Adozione Internazionale”. Un giorno a fianco di chi si occupa delle pratiche delle coppie

foto greta 200Cronaca di una “normale” settimana… in trincea, a combattere al fianco delle famiglie e a favore dei bambini abbandonati. Questo è il diario di “24 ore su 24” trascorse sul filo di una speranza, raccontato in diretta da una nostra operatrice della sede di Torino.

Venerdì è arrivata dalla Russia una nuova richiesta d’integrazione di documenti per una nostra coppia. Penso immediatamente a come potrò comunicarlo a questa famiglia che ha già dovuto presentare molte integrazioni. Il giudice non è ancora contento e ne chiede altre.

Invio un’email e immagino che, appena verrà letta, ci saranno da affrontare le urla della signora, che è l’unica con la quale mi sono confrontata in questi ultimi tempi.

Sabato, come mi aspettavo,  mi telefona e mi avverte che, nel giro di poco, sarà in ufficio, a Torino. Penso a come posso accoglierla e sostenerla in questo momento così difficile per lei. Suona il campanello, vado ad aprirle e, come al solito, la accolgo con un sorriso, che però è ricambiato da uno sguardo cupo. Appena ci sediamo, la signora inizia a urlarmi contro che non è possibile, che non si può lavorare così, che si sente esausta, che non riesce più a dormire. Noto subito le sue occhiaie e gli occhi arrossati.

Lascia poco spazio alle mie parole, penso che abbia solo voglia di sfogarsi, ha bisogno di qualcuno sul quale poter “rovesciare” tutta la rabbia che ha dentro. E’ la rabbia di una mamma che si vede nuovamente allontanata da suo figlio, che pensa che forse questa adozione non si concluderà mai.

Purtroppo non riesco a dirle molto, non so nemmeno come giustificare le richieste del giudice. Continuo a ripeterle che non possiamo farci niente, è il giudice che decide. Credo che non mi stia neanche ascoltando…

Ci salutiamo con la promessa di sentirci il lunedì successivo. Nel frattempo, prende contatto con la nostra sede centrale e le viene proposto di incontrare una psicologa, che la possa sostenere in questo difficile momento. Mi chiama martedì, dicendomi che accetta di incontrare la psicologa insieme al marito.

Si presentano entrambi, il giorno dopo, qui nell’ufficio di Torino e parlano solo di documenti e di null’altro. Mentre si svolge la seduta con la psicologa, la sede centrale mi avverte che il casellario giudiziale del marito (che ha doppia nazionalità) scadrà a settembre e quindi occorre essere ancora più veloci nel preparare i documenti che mancano. Informo la coppia e la signora inizia di nuovo a urlare e a gettare i fogli dappertutto, trema dalla rabbia, piange e se ne va sbattendo la porta e dicendo: “Non c’è più niente da fare. Io lascio perdere…”. Il marito, che appare più calmo, si alza, ma anche lui ripete la stessa frase della moglie e se va.

Non li sento più fino a venerdì, quando la signora mi chiama e mi dice che, nel giro di pochi minuti, sarà da me per farmi vedere i primi documenti che è riuscita a produrre. Intanto il marito è dalla commercialista, con la quale mi metto subito in contatto per spiegare come devono essere fatte le dichiarazioni sui loro redditi.

Quando mi vengono spedite, le inoltro in tempo reale alla sede centrale, che a sua volta le gira in Russia.

Ad ogni ok che ci arriva è un momento di festa, ci fa capire che si può fare, che la meta di avvicina…

Mentre aspettiamo la verifica finale da parte delle colleghe russe, osservo la signora. Tiene in mano la fotografia di Georgiy, che ha 10 anni, lo guarda con gli occhi pieni di lacrime: “Questo scatto  glielo abbiamo fatto mentre eravamo già in macchina e gli stavamo dicendo che saremmo tornati presto a prenderlo”.

Il lunedì successivo torna nuovamente in sede con tutti i documenti richiesti e, dopo averli visionati e controllati, si reca al Comune per avere le autentiche. Martedì mi chiama al telefono alle 10.00 dicendomi che ha tutti i documenti apostillati e che sta per arrivare; la blocco dicendole che non sono ancora in ufficio (il martedì inizio a lavorare alle 12.00), ma le assicuro che, nel giro di 45 minuti, riesco ad essere lì. Si presenta alle 11.30 insieme al marito e ad un’amica. Riguardiamo tutti i documenti e verifichiamo che su ognuno di essi ci sia il timbro apostille, oltre a scansionarli tutti. Il lavoro procede tranquillamente quando, ad un certo punto, ci accorgiamo che su un documento manca il timbro… Così la coppia parte velocissima verso la Prefettura. Dopo circa mezz’ora ritornano e continuiamo la verifica e la scansione.

Terminato questo lavoro, sono le 14.30. Dico ai signori di andare a mangiare un boccone e di rilassarsi mentre io cerco di capire come fare per spedire, nel modo più rapido, i documenti.

Sono già le 15.30, quando mi viene comunicato che bisogna cambiare la presentazione dei dossier fotografici e quindi va levata la rilegatura. Sembra una corsa ad ostacoli…

Nel frattempo la coppia si ripresenta in sede. Li rassicuro, finisco le ultime modifiche, prendo le due buste di documenti e mi avvio al DHL che è vicino alla nostra sede, mentre la coppia mi saluta e ritorna a casa. Quando arrivo, l’ufficio spedizioni è chiuso, torno di volata indietro per controllare quali altri centri fanno orario prolungato, ma tutti chiudono alle 14.00. L’unica soluzione, per non rimandare a domani, è raggiungere la sede principale che si trova fuori città, a Settimo Torinese, esattamente a 20 chilometri da dove mi trovo in questo preciso istante.

Sono già le 16.30, così mi avvio velocemente alla metropolitana e corro a prendere la mia macchina al parcheggio. Sono le 17.00 e ho solo un’ora di tempo. Conosco Settimo Torinese e ci so arrivare tranquillamente, ma non ho idea di dove possa essere la sede del DHL. Qui nessuno sembra saperlo. Sono già le 17.30 e io sto ancora vagando per il paese. Mi fermo nuovamente a chiedere a un passante e finalmente mi indica la strada. Riparto velocemente (rischiando anche un tamponamento). A un certo punto, vedo un cartello che indica dove si trova e lo seguo ma poi… spariscono le indicazioni. Sono le 17.50 e inizio a vagare nella periferia del paese dove non c’è nessuno a cui chiedere. Faccio avanti e indietro, giro e rigiro intorno alle rotonde più volte quando… ecco un altro cartello, ma sono già le 17.55.

Non mi perdo d’animo, quei documenti devono essere consegnati oggi e non c’è alternativa: devo farcela! Seguo le nuove indicazioni che, poco dopo, puntualmente spariscono sotto i miei occhi. Perché in Italia è così difficile segnalare dove si trovano i posti? Ho un momento di vero sconforto.

Sono le 17.58, mancano due minuti e la tentazione di arrendersi è forte, ma non voglio, la ricaccio da dove è venuta, non posso fallire, quei documenti vanno consegnati, c’è in gioco la vita di un bambino che sta aspettando da tanto (da quasi un anno) la sua mamma e il suo papà. Così mi dico: “Dai Greta, ce la puoi fare, pensa a Georgiy, ai suoi occhi grandi, pieni di speranza. Non mollare proprio adesso”. Non so come, o forse sì lo so, è qualcuno da lassù che mi ha sussurra “Alza gli occhi, guarda là” ed ecco che vedo l’insegna DHL.

Sono le 18.00, schiaccio sull’acceleratore, “Ce la devo fare!!!!”. Faccio gli ultimi 200 metri come un corridore che deve vincere la sua gara più importante.

Quando posteggio la macchina (è meglio che non dica come), sono le 18.05, sono fuori tempo, ma non mi importa, “devo consegnarli”. Questa frase mi continua a risuonare come un mantra senza sosta.

Corro verso il cancello, la guardia esce e penso: “Adesso mi blocca”. Credo di averlo guardato con una faccia disperata. Lui invece, molto gentilmente, mi mostra dove devo andare. Mancano solo 50 metri, vedo il traguardo ma non sono ancora tranquilla.

Entro e alla reception una signora mi sorride e mi chiede che cosa devo fare. Io ricambio il sorriso e le spiego. Ho ancora per qualche secondo il timore che mi dica che è troppo tardi. E invece…

Sono le 18.15, le buste sono consegnate, il pacco partirà in serata, ci vorranno due giorni lavorativi perché arrivi a destinazione.

Ritorno alla macchina, sono esausta e madida di sudore: oggi a Torino ci sono 33 gradi. Ma ce l’ho fatta. Mentre ritorno a casa (perdendomi di nuovo per Settimo Torinese, ma adesso non ho più fretta!) penso a Georgiy e avrei voglia di dirgli: “Caro Georgiy, non ci conosciamo, ma tu hai lottato perché la tua speranza di avere una mamma e un papà non ti abbandonasse e io oggi ho lottato un pochino al tuo fianco, affinché questa speranza non si spegnesse. Ti voglio bene, vedrai che presto i tuoi genitori verranno a prenderti”.

Arrivo a casa dopo un’ora di viaggio. Sono così stanca che non ho neanche voglia di mangiare, ma appena vedo i miei figli che mi sorridono e mi corrono incontro, penso che la giornata di oggi, una “normale” giornata di lavoro, è stata bellissima.