Eterologa: ticket a soli 500 euro, ma quanto occorrerà pagare il donatore?

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Sarà uno dei temi centrali dell’Open Day di Amici dei Bambini, in programma il 27 e 28 settembre: l’eterologa continua a fare parlare di sé e a incrociare inevitabilmente il proprio destino con quello dell’adozione. Non a caso uno dei dibattiti che animeranno l’Open Day milenese sarà intitolato “Eterologa o adozione? Scelta o costrizione?”. Anche negli ultimi giorni questa tecnica di fecondazione artificiale ha riservato delle novità da un lato, ma anche importanti aspetti ancora da definire.

Chi vorrà rivolgersi a un centro di procreazione assistita fuori dalla propria regione pagherà il ticket che gli sarebbe stato chiesto se fosse rimasto a casa propria. Almeno fino a gennaio, quando dovrebbe entrare in vigore il ticket unico nazionale. Lo hanno deciso gli assessori regionali alla Sanità, riuniti mercoledì 24 settembre a Roma, che, nel tentativo di mettere un freno al turismo riproduttivo sul territorio italiano, hanno trovato finalmente un accordo. Ma resta ancora avvolta nel mistero la questione relativa al costo dei gameti.

Per quanto riguarda il ricorso ai centri che praticano l’eterologa, si è stabilito che le coppie dovranno fare riferimento alle tariffe in vigore nella propria regione. Questo vale, ovviamente, solo per i 9 territori che hanno deciso di autorizzare l’eterologa: gratuita in Umbria ed Emilia Romagna, con ticket proporzionali al reddito in Marche, Friuli e Liguria, con ticket fissi in Lazio, Piemonte e Veneto. In questo modo, le coppie non dovrebbero più avere interesse a emigrare per poter avere un figlio.

Il resto dei costi sarà coperto dalla regione di appartenenza, in base a un tariffario fissato dai titolari della Sanità: 3.500 euro per le pratiche più semplici, 4mila per la fecondazione in vitro con donatore maschio e 4.500 per quelle con donatrice donna.

Tutto questo fino a gennaio, quando – a detta del coordinatore degli assessori, il veneto Luca Coletto – dovrebbe essere inserito nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) un ticket unico nazionale di circa 500 euro.

Se da un lato si va delineando il prezzo della prestazione medica, dall’altro resta ancora non chiaro come le Regioni intendano fare i conti con quello che sta diventando un vero supermarket della fertilità a livello internazionale.

Eugenia Roccella, del Nuovo Centrodestra, ha denunciato come “reperire i gameti per l’eterologa voglia dire pagarli a prezzi di mercato”, con autentici contratti.

La tecnica per prelevare gli ovociti è notevolmente invasiva e i rischi che una donna corre sono notevoli: ciò rende la donazione gratuita una vera illusione. Per questo, cifre decisamente allettanti, dell’ordine delle miglia di dollari, vengono offerte a ragazze bisognose reclutate via internet. Il Center for egg option dell’Illinois, per esempio, paga fino a 7mila dollari le giovani donne che scelgono di sottoporsi ai trattamenti ormonali e donano gli ovuli. Gli importi si abbassano notevolmente, però, nel mercato dei Paesi dell’Est: qui la povertà diffusa rende i prezzi molto più abbordabili per chi è alla ricerca di gameti. Nel 2006, secondo quanto riportava il “Guardian”, le donne inglesi pagavano 3mila euro per acquistare ovuli nellecliniche ucraine o cipriote. Solo una piccola parte di questa somma, però, finiva davvero nelle tasche delle donatrici. Si configura, quindi, un autentico sfruttamento delle donne, equiparate a fornitrici di materia prima, anche a costo della vita.

Ma anche quando si tratta del seme maschile, i donatori costi non sono certo esigui. Il programma americano Be a sperm donor offre fino a 4mila dollari per un contratto semestrale a chi si impegna a donare il proprio seme una volta alla settimana, mentre la California Cryobank promette 125 dollari a donazione.

Ci si chiede ora come le nostre Regioni intendono inserirsi in questo mercato della fecondazione: a quali Paesi si rivolgeranno e quanto saranno disposte a pagare? O intendono regolamentare la retribuzione per gli eventuali donatori italiani? Domande a cui, per ora, manca ancora una risposta.

 

Fonti: La Stampa, Avvenire