Ferragosto: la lotta all’abbandono non conosce soste

bimbo sirianoDal nostro inviato (Luigi Mariani) – È ferragosto, tutti al mare. Perché in fondo è giusto godersi il meritato riposo dopo mesi di lavoro, stress, ansie e preoccupazioni. Prendere il largo, in tutti i sensi. “Staccare la spina”, come si dice. È un sacrosanto diritto, ci mancherebbe.

Ma la testa e il cuore, quelli non si possono e non si devono “staccare” mai, perché sono ciò che ci rendono esseri umani, capaci di sentimenti, razionalità, compassione umana. E non si cessa di essere uomini, nemmeno in vacanza.

La solidarietà è una tensione, un atteggiamento, un modo di relazionarsi con l’altro (così diverso, ma così uguale a noi), che ci permette di farci carico della sua sofferenza, di condividerla, persino di riviverla, quando possibile.

Per questo non possiamo – nemmeno durante le ferie – trascurare o fingere di non vedere ciò che accade nel mondo, in Medio Oriente in particolare, dove centinaia di migliaia di persone, fra Iraq, Siria e Palestina, subiscono ogni giorno le più atroci ingiustizie.

Mentre i nostri figli costruiscono castelli di sabbia sotto il sole della Riviera, decine di bambini yazidi muoiono sotto la canicola del deserto, fra le braccia dei propri genitori. In Siria, non ci sono scottature o insolazioni estive da curare, ma un’intera generazione “bruciata” da salvare, milioni di minori i cui sogni sono stati ridotti in cenere. E sotto le migliaia di tende allestite nei campi di rifugiati in Turchia, Libano e Giordania, non si trovano allegre famiglie in campeggio, ma un popolo di disperati rimasti senza nulla, nemmeno una casa a cui fare ritorno.

Dobbiamo forse sentirci in colpa per questo? In fondo – si dirà – non siamo certo noi ad aver creato le condizioni perché tutto ciò accadesse. No, certo che no: la colpa è un concetto che presuppone un’azione diretta o un’omissione. Ma la responsabilità, quella sì, dovremmo sentirla: implica un senso di appartenenza, un sentire comune che ci impegna e ci impone di fare quanto in nostro potere per cambiare le cose, per rispondere a una provocazione che, in fondo, ci tocca da più vicino di quel che pensiamo. Per il solo fatto di essere – noi stessi – uomini e donne, figli e figlie, padri e madri.

In queste settimane, dunque, tra una passeggiata in montagna e una gita in pedalò, concediamoci anche lo spazio della riflessione, della preghiera, dell’impegno sociale e umanitario; per quanto minimo possa essere il nostro contributo, sarà sempre prezioso. Lasciamo entrare nel nostro cuore quel briciolo di realtà che serve a farci guardare il mondo in modo non disinteressato, non del tutto indifferente; perché, in fondo, esso appartiene anche a noi e ai nostri figli.