Bambini in alto mare: “Sono fuggito dall’Eritrea per non diventare un bambino soldato”

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In redazione per raccontare il mondo. Ma soprattutto per cambiarlo con gesti concreti. E’ questa la molla che ha spinto la redazione del settimanale D di La Repubblica a sottoscrivere un Sostegno senza Distanza con la nostra associazione da destinare a ‘Bambini in alto mare’. Il progetto, avviato dalla nostra associazione dopo la tragedia del naufragio di Lampedusa, cerca di dare temporaneamente una famiglia ai minori non accompagnati e una casa a mamme sole con i loro figli.

«Assieme, basta poco per ottenere molto: perché non farlo in ogni ufficio o luogo di lavoro?». Lo scrive la redazione D di Repubblica come biglietto di accompagnamento alla sottoscrizione del SsD.

Un esempio che se solo fosse imitato da altri gruppi di lavoratori, uffici, aziende, metterebbe in moto molte più risorse da investire per questo o altri progetti che sono finanziati soprattutto grazie ai privati.

Come non rimanere coinvolti dal racconto di uno dei giovani superstiti al naufragio dell’orrore? Intervistato dalla redazione regionale della Rai di Sicilia, il ragazzo ospite al centro Caritas di Caltagirone, racconta: «Il comandante ha incendiato una coperta. Ma il fuoco era troppo vicino al motore. Ci siamo spaventati e ci siamo ammassati tutti da una parte.  E per il peso  si è ribaltata. Sono caduto in acqua, ero aggrappato a una ringhiera della barca. Allora mi sono tolto le scarpe e ho iniziato a nuotare, nuotare senza fermarmi per quattro ore. Ho ancora mal di pancia: ho ingoiato acqua e carburante. Mi fa un male terribile».

Il suo è il racconto della traversata più drammatica che la storia dell’emigrazione lungo le rotte del Mediterraneo ricordi. E non è il sole ad aver visto la morte a pochi centimetri da sé. Abdel, 16enne eritreo, non potrà cancellare mai le immagini di quel naufragio. Con lo sguardo appesantito da troppo orrore ingoiato in una notte, dice:  «Sono fuggito dall’Eritrea, per non diventare un bambino soldato. Voglio diventare pilota d’aereo. E studiare». E aggiunge: «Prima di partire, ho atteso tre mesi chiuso in una specie di magazzino senza finestre, mangiando the e pane». Poi il viaggio su quella carretta che si è rivelata per tanti suoi amici una trappola mortale.

Il vescovo di Caltagirone,  Calogero Peri, osserva: «Questi ragazzi arrivano con davanti agli occhi l’orrore di aver visto morire alcuni parenti. Hanno alle spalle tante violenze, fughe, drammi. E hanno poca fiducia nelle istituzioni, sono abituati a difendersi da tutto e da tutti».

Intanto stamattina decine dei 155 sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre hanno inscenato un sit in davanti al centro di accoglienza dell’isola in contrada Imbriacola. Motivo della protesta : il mancato invito alla commemorazione dei loro compagni di viaggio sul molo del porto turistico di Agrigento. Una delegazione si è anche recata al Comune, senza poter incontrare il sindaco Giusi Nicolini , oggi a Roma per un incontro con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

In attesa che la politica si attivi concretamente, sono 204 le famiglie italiane che hanno risposto al nostro appello per accogliere in casa propria un minore in affido o una mamma con figli. Peccato che, come ricorda il nostro operatore a Lampedusa Michele Torri, manchi ancora una cabina di regia indispensabile per non perdere questa disponibilità generosa e gratuita delle famiglie, e per permettere anche agli operatori dei Comuni coinvolti di gestire al meglio la situazione» (per vedere l’intervista rilasciata dal nostro operatore alla Rai di Sicilia, clicca qui)