“Ho abortito un anno fa, ma per favore non usate la parola abbandono: io avrei voluto essere una mamma! ” La risposta del Cardinale Bagnasco

CSono impressionanti  i dati  della regione Toscana pubblicati alla fine dello scorso anno: per ogni nascita in donne non ancora maggiorenni, si sono registrate quattro interruzioni volontarie di gravidanza.” Vi racconto perché sono stata costretta ad abortire”

“Ma prima vorrei darvi quello che forse è il mio unico vero contributo: se volete dare ascolto a una donna che ha abortito un anno fa e che avrebbe voluto non farlo, vorrei proporvi una mia riflessione sul titolo della vostra proposta di legge a favore del sostegno alla scelta di non abortire.”

Inizia così una lettera pervenuta in redazione alla fine dell’anno. Leggiamola insieme.

“E’ una proposta che ha molto senso e vi ringrazio, come donna, per questo.
Personalmente, e anche altre donne la sentono così, però  le parole che avete scelto per parlarne mi spaventano un po’.
Le parole sono potenti, creano emozioni, determinano azioni: “oltre l’aborto la speranza nell’abbandono” non mi suona bene.
Sentire e leggere la parola “abbandono” mi evoca appunto un sentimento di abbandono e fa contatto con esperienze spiacevoli. Mi fa pensare allo scarico del neonato in una cesta o in una scatola davanti a una porta di qualcun altro, o a certe cose atroci che si sentono in televisione.
Perchè non provare a trovare un’altra parola o una perifrasi??
Ad esempio “oltre l’aborto la speranza nel consegnare la nuova vita a qualcuno che se ne prenda cura”
oppure “oltre l’aborto la speranza nell’affido” oppure “..la speranza nell’abbraccio di altri” . Ma per favore, ascoltate una donna che sa di cosa sta parlando perché c’è dentro fino oltre la testa: non usate la parola “abbandono”..
Sono una donna italiana di 39 anni, un anno fa ho abortito il mio primo figlio per motivi che si possono riassumere in una situazione di spossatezza, problemi di salute, solitudine e isolamento e qualche problema serio di lavoro. Credevo che avrei messo al mondo un infelice, credevo che per questo sarei stata più infelice anche io, e ho scelto di “non tenerlo” anche se tutta me stessa rifiutava questa cosa. Per farlo mi sono dovuta letteralmente scindere in due, staccare la mente dal corpo.
Non avevo idea delle conseguenze.
Nessuno racconta alle donne che si presentano ai consultori o agli ospedali, e a chi eventualmente è con loro, che la verità vera è  solo una.
Abortire, senza bisogno di essere credenti e caricarsi  anche di un senso di colpa, è già di per sè una cosa contro natura, quindi con conseguenze devastanti, e badate bene, sto cercando di scegliere parole con un significato.
Contro natura nel senso che per una donna incinta è sempre naturale e sano scegliere la vita, e anche se è la più ignorante del mondo o la più colta, un aborto va a toccare tasti talmente profondi e ancestrali e istintuali che per la donna spesso diventa l’inizio di un incubo.
Basterebbe una psicologia, senza bisogno di ricorrere ad argomentazioni religiose a “spiegarlo”.
Ho scoperto, DOPO, che la donna che abortisce, inizia un percorso di lutto, spesso lutto complicato, e alcune volte va incontro a nevrosi vere e proprie  che si concludono  addirittura con suicidi o tentativi di suicidi.
E ci sono i bambini che non sono mai nati.
Insomma una spirale di morte della quale NON si parla o se si parla si parla MALE , con toni da cattedra, da predicatore, da persona distaccata invasata da dottrine di varia natura, politiche o religiose, del pro e del contro, colpevolizzando, svilendo, schiacciando, o viceversa sostenendo, o semplicemente ignorando.
Un gigantesco caos dove le mamme e i figli, gli unici soggetti che dovrebbero parlare, non vengono ascoltati.
Il mio bambino voleva vivere, e io volevo farlo nascere e possibilmente tenerlo con me.
Cosa sarà di me non lo so, ogni giorno è una lotta con ricordi atroci che mi tornano alla mente, la sensazione della sua mancanza, e ogni bambino che vedo è il mio che non c’è.

Tutte le mie relazioni si stanno sgretolando.
Forse perchè ho avuto già molti traumi e abbandoni, non ho altri figli, la vivo così, forse anche per l’età (avrò mai figli? sto invecchiando…) ma anche donne più giovani e con vite più serene soffrono, e anche i loro bambini non sono nati.
Pensate che ho incontrato persino donne che hanno abortito 15 anni fa e che all’improvviso vengono sovrastate da questa cosa che le schiaccia.
Allora io mi chiedo se si possa informare capillarmente, non per indurre a tenere i bambini per paura di soffrire ( così è un altro non senso), ma per cercare di salvare tutti, mamme, figli, la società intera.
Non so dirlo adesso, ma se qualcuno mi avesse detto “stai attenta che abortire ti porterà nel baratro molto più che farlo nascere e separartene, affidandolo ad altri, e che forse ce la puoi addirittura fare a crescerlo tu e che c’è qualcuno che ti darà una mano” forse non l’avrei fatto. Bum! salvata me e mio figlio in un colpo solo !
Se all’ospedale mi avessero fatto prima parlare con qualche donna che ha abortito, se la ginecologa mi avesse detto qualcosa, se anziché un solo psicologo, che era già occupato, per tutti i pazienti di un ospedale enorme di Roma ce ne fossero stati 20,….
Ma che razza di società siamo, dove si predica da ogni pulpito la sacralità della vita e poi in realtà le donne sono lasciate sole e se vogliono un aiuto devono pagarselo perché i soldi sono andati già altrove? Parlo di aiuto materiale, poi c’è quello affettivo di avere la sensazione che davvero la società in cui si vive sostiene davvero la vita, non a parole.
Grazie per la pazienza e per il tempo, spero di rimettermi presto e di stare così bene da darvi una mano concreta.

Buon lavoro, coraggio a tutti che ne abbiamo bisogno.

Angela

L’ Arcivescovo di Genova, Cardinale Angelo Bagnasco,  commentando il Messaggio per la giornata della pace di Papa Benedetto XVI, sembra quasi rispondere direttamente ad Angela, facendo proprio il suo accorato appello.

«Quale garanzia ci può essere se uno Stato non rispetta, non promuove, non accoglie, non difende la vita, soprattutto la più fragile e debole, anche quella vita che non ha neppure il volto, neppure la voce per imporre sé stessa e il proprio diritto?

Parliamo spesso degli ultimi, ma gli ultimi degli ultimi sono coloro che non possono opporre agli altri neppure la presenza ,neppure un volto, tanto meno la voce.

Una società siffatta che garanzie potrà dare di difendere, accogliere, sostenere, promuovere, anche con grandi sacrifici tutte le altre fragilità della vita umana?».

«Se il cuore della società non è abbastanza grande e sensibile da commuoversi di fronte a queste situazioni ultime della fragilità umana, e non le accoglie perché dice di dover pensare alle altre fragilità, c’é un circolo che non si può spezzare».