Il decreto «svuota carceri» dimentica i bambini, figli delle detenute

scarpette rosse (3).jpg newVenire al mondo in carcere. E trascorrere tra le sbarre i primi tre anni di vita. Nel nostro Paese è attualmente la quotidianità per una settantina di bambini. In nome di una conquista di civiltà vecchia di quasi quarant’anni. Che permetteva ai bambini fino a tre anni di vivere in carcere con le madri. Era il 1975 e la novità venne introdotta dalla legge numero 354.

Ma troppe volte gli esiti di queste ‘concessioni’ al diritto di mantenere il legame mamma-figlio sono stati disastrosi per lo sviluppo dei bambini. Finalmente nel 2011 una nuova legge ha cercato di superare gli sfasci della prima, prevedendo la creazione dei cosiddetti Icam, Istituti a custodia attenuata per le detenute madri. Peccato che, a due anni di distanza, il decreto «svuota carceri», approvato alla Camera tra mille polemiche il 5 agosto, la abbandoni in soffitta. Lasciando crescere i bambini in regime carcerario tra rumori di cancelli chiusi a chiave e cielo contornato di sbarre.

Certo, un vantaggio indiretto arriverà ai piccoli ‘reclusi’ da sconti di pena ed estensione dei benefici carcerari per i recidivi. Ma il nuovo decreto non disciplina direttamente il loro stato. Che invece migliorerebbe se solo trovasse applicazione la legge del 2011. La normativa consente alle donne di tenere con loro i bambini fino ai 6 anni in strutture non carcerarie, quali sono gli Icam. All’apparenza case ‘normali’, dove gli agenti penitenziari non sono in divisa, le sbarre non ci sono, ma restano garantiti gli strumenti di reclusione per le adulte recluse. Solo che al posto dei cancelli di ferro, gli occhi ingenui dei bambini vedono solo pannelli colorati.

Il primo Icam è sorto nel 2007 a Milano, in pieno centro, in un condominio vicino alla chiesa di Sant’Ambrogio. Qui le donne cucinano per i propri bambini, giocano con loro in un clima di serenità, seguono corsi per imparare un mestiere o anche la lingua italiana (molte sono le straniere).

Ottimi i risultati della sperimentazione che ha anticipato la legge. Alcuni bimbi che prima si rifiutavano di parlare, trasferiti all’Icam hanno ripreso a farlo. E fra le donne uscite dall’istituto nessuna è tornata a delinquere. All’esperienza di Milano, si è aggiunta Venezia. Mentre nel Lazio il progetto di costruzione di un Icam, approvato a larghissima maggioranza dal Consiglio Regionale nella precedente legislatura, è rimasto al palo per una serie di «no». Non ultimo quello degli abitanti dell’area limitrofa al parco di Aguzzano, nella periferia nord-est di Roma, dove dovrebbe sorgere la struttura. Forse sarebbe una vera conquista di civiltà, accettare che il proprio bambino possa magari solo parlare da un balcone all’altro con il figlio di una detenuta qualsiasi.