Il dilemma del matrimonio in tempi di Coronavirus: “Ci sposiamo adesso o aspettiamo tempi migliori?”

Una riflessione di Gianmario Fogliazza sul significato più profondo delle nozze. Che possono fare a meno della festa, ma non della vita

Le nozze possono fare a meno della festa, ma non della vita. Chi osserva da estraneo ‘la vita e le scelte’ dei cristiani talvolta si confonde applicando alcuni criteri di lettura e comprensione non sempre idonei a coglierne l’autentico senso e la prospettiva; i sacramenti sono spesso occasione di fraintendimento, talvolta di stucchevole e gratuita polemica, altre volte di genuina incomprensione laddove parole, segni e gesti non sempre riescono a mostrare immediatamente il loro significato e la loro specifica identità, senza ricorrere ad una separazione tra umano e cristiano, tra naturale e ‘religioso’ o soprannaturale.

Accade che anche tra i credenti stessi ci si confronti su scelte e modalità (tempi, soggetti, luoghi, lingue, …) per la celebrazione dei sacramenti: è, quindi, benvenuta ogni riflessione e volentieri accolto ogni confronto che consenta di riscoprire l’identità e il senso di un sacramento. Pur vissuto attraverso sue possibili varianti che storicamente possono temporaneamente intervenire per scelta o necessità, il sacramento può subire anche un suo progressivo logoramento nel tempo senza che nulla della sua ‘celebrazione’ sia trasformato, con l’esito di risultare insignificante per chi lo accosti o chi vi partecipa.

Come abbiamo potuto vivere in questi mesi, le doverose precauzioni sanitarie, adottate e recepite anche dalla comunità cristiana, hanno introdotto delle novità nella celebrazione di diversi sacramenti senza tuttavia alterarne l’identità; ciò non esclude che molti credenti si siano trovati a disagio e altri si siano subito affrettati a denunciare il rischio di una pericolosa deriva. Non dimentichiamo, per altro verso, la decennale e nota preoccupazione per lo scivolamento verso l’anonimato di diversi sacramenti, immutati ma semplicemente ‘attraversati’ o ‘replicati’ più che celebrati e vissuti.

È comunque certo che anche il Coronavirus stia offrendo un’occasione propizia, come del resto tutte le prove, per riscoprire la bellezza e la originalità dei sacramenti: sfidati da nuovi contesti e nuove forme del vivere e del condividere con gli altri, talvolta ci si è limitati alla loro riprogrammazione temporale, altre volte alla sola diversa articolazione di ‘presenza e gesti’.

Matrimonio e festa in tempi di Coronavirus: una riflessione su Avvenire

Tra le varie e curiose questioni incontrate sul tema, qui in sintesi richiamiamo l’interessante confronto di prospettive che nei giorni scorsi un articolo di Avvenire ha involontariamente stimolato sul sacramento del matrimonio, mentre Luciano Moia e padre Marco Vianelli commentavano la scelta di diversi fidanzati (per alcuni il 50%, per altri il 70% delle coppie) nell’optare, in questi mesi, per il rinvio delle nozze a fronte dell’impossibilità di un coinvolgimento e partecipazione corale di familiari, amici, comunità. Altri scelgono di celebrare comunque il matrimonio pur coi vincoli imposti dalle norme di prevenzione, limitando la presenza al presbitero e ai testimoni.

Nel commentare il fenomeno è stata introdotta una distinzione tra quanti sceglierebbero di “puntare tutto sulla dimensione sacramentale” e coloro i quali, invece, non intenderebbero “rinunciare alla festa” quale “parte sociale di una cerimonia che vive allo stesso tempo, del momento liturgico e di quello pubblico”.

Una distinzione – momento “intimo” (liturgia sacramentale) e dimensione “pubblica e sociale” dell’evento (festa) – che, seppur argomentata e illustrata, ha tuttavia insinuato una non risolta tensione (tra liturgia e festa; tra intimo e pubblico; tra essenziale e superfluo; tra spirituale e materiale; tra chiesa e mondo) e suscitato una comprensibile reazione da parte di due giovani sposi: Ester e Andrea hanno ritenuto necessario evidenziare il proprio disagio a fronte del rischio di veder considerata la propria scelta come solo “intimistica” e “non pubblica” sottolineando la piena dignità – pubblica e gioiosa – della loro scelta, pur vissuta nella stagione di partecipazione e condivisione limitata.

Nel desiderio di rivendicare la ineccepibile rispettabilità delle proprie nozze, i due novelli sposi non si sono tuttavia accorti di ribadire il difetto che li aveva turbati, rivendicando addirittura come esemplare la propria scelta in grado, affermano, di “far recuperare il vero significato del Sacramento” che, quindi, avrebbe nella ‘festa’ solo un’appendice superflua e ‘a termine’, se non un rischio di distrazione dall’essenziale (“il matrimonio dura per tutta la vita – affermano – mentre la festa alla sera finisce”).

Se è vero che purtroppo molti matrimoni sono stati celebrati e vissuti con un impressionante tasso d’inquinamento sia della ‘liturgia’ (ridotta a momento da ‘favola’, tra cerimoniali vissuti con spropositati allestimenti scenografici e atteggiamenti dettati dalla coreografia), che delle ‘feste’ (trasformate ora in anonime sagre, ora in banchetti ineccepibili pianificati fino all’ultimo brindisi), non condividiamo l’idea che il recupero del vero significato del sacramento debba passare attraverso lo svilimento della ‘festa’, del suo senso e delle sue preziose, profonde e non altrimenti sostituibili dinamiche connesse alla celebrazione del matrimonio.

Dialogando positivamente coi due sposi, Luciano Moia ha ben ricostruito e meglio chiarito anche il pensiero di padre Marco Vianelli riprendendo “alcuni passaggi di quel tema così forte e misterioso, decisivo e in parte insondabile che è l’alleanza nuziale”; padre Vianelli così chiarisce: “il fatto che il matrimonio celebrato anche senza invitati sia comunque pubblico e quindi mantenga il suo ruolo socialmente rilevante, non può e non deve significare che il momento della festa non sia importante”.

Secondo alcuni la festa non aggiunge e non toglie nulla al sacramento, ma è senza dubbio uno dei possibili, preziosi ed emblematici luoghi di estensione della liturgia sacramentale e progressiva dilatazione della gioia delle nozze; spesso è uno dei primi momenti dove il sacramento sfugge alla tentazione di restare confinato ed esaurito nel cosiddetto ‘liturgico’, ma trabocca nella vita: distinto ma non separato comincia a plasmarla esprimendo serenità, alimentando solidale condivisione, generando speranza, fiducia e felicità.

Matrimonio e festa in tempi di Coronavirus: “sposarsi significa non contare solo sulle proprie forze”

“Chiamare a raccolta amici e parenti – sottolinea Moia – richiama una profonda verità: sposarsi significa non contare solo sulle proprie forze”. Il corpo sociale all’interno del quale ci muoviamo diventa coprotagonista della storia degli sposi nella cerimonia del matrimonio poiché liturgia e festa sono vissute entrambe di fronte e con Dio, davanti e con la comunità. “Sposarsi significa accettare di non essere i soli soggetti dell’alleanza” e “condividere la festa significa entrare simbolicamente in una rete di legami più vasti”.

La ricchissima simbologia della festa nuziale richiamata da padre Vianelli suggerisce a quanti desiderano celebrare il sacramento in queste settimane, pur nei limiti imposti dalle attuali norme igieniche, di considerare il ‘banchetto nuziale’ solo rinviato e non trascurato. Volentieri formuliamo anche i nostri sinceri auguri a Ester e Andrea per le loro nozze, senza dimenticare tutti gli altri novelli o promessi sposi, preziosi profeti in questo tempo faticoso e fragile per le relazioni, che con determinazione e coraggio si sono fiduciosamente ‘promessi’ o fedelmente accolti nel segno dell’amore del Signore Gesù, testimoni della sua incondizionata dedizione, in attesa di accogliere i figli che saranno loro donati: alcuni li stanno già da tempo desiderando e aspettando.

Gianmario Fogliazza
Ai.Bi. – Amici dei Bambini