Italia. Emergenza abbandono. I neonati non riconosciuti: uno al giorno

neonatoGabriele Francesco, chi non ricorda la sua storia? E’ il piccolo abbandonato subito dopo la nascita tra i rifiuti sotto un cavalcavia della Milano-Torino all’altezza di Novara Ovest. Una vita vissuta un solo giorno capace però di segnare quella di molte persone che sono venute a conoscenza della sua storia. Vicende come questa sono fortunatamente rare ma il mancato riconoscimento di un bambino appena nato non è un evento così remoto. Secondo un’indagine effettuata dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN) tra luglio 2013 e giugno 2014 sono stati 56 i neonati non riconosciuti dalle mamme su un totale di 80.060 bambini nati (il totale dei nati in Italia supera le 500 mila unità. Potenzialmente i non riconosciuti potrebbero essere uno al giorno).

Numeri importanti che non tengono conto della realtà sommersa dei bambini partoriti e mai ritrovati. Perché a differenza di quanto si possa pensare sono ancora poche le donne che sono a conoscenza della possibilità di partorire in maniera anonima. Non solo, dai dati emerge il profondo disagio sociale ed economico nell’affrontare l’arrivo di un neonato.

Nel 62,5% dei casi si tratta di neonati non riconosciuti da madri straniere e nel 37,5% da mamme italiane. Le mamme che scelgono di non riconoscere i loro bambini hanno un’età compresa tra i 18 e i 30 anni nel 48,2% dei casi. Per quanto riguarda i motivi dell’abbandono, al primo posto troviamo il disagio psichico e sociale (37,5%), seguito dalla paura di perdere il lavoro o più in generale dai problemi economici (19,6%). La paura di essere espulse o di dover crescere un figlio da sole in un Paese straniero è un motivo scatenante per il 12,5% delle donne immigrate; segue la coercizione per il 7,1%; la giovane età (5,4%); la solitudine (5,4%) e la violenza (1,8%).

Come aiutare queste mamme in difficoltà? Agevolando e incrementando l’informazione per arrivare direttamente a queste donne in difficoltà attraverso ambulatori, centri di assistenza sociale, consultori e parrocchie. Ma soprattutto comunicare loro in modo capillare l’esistenza di culle per la vita, come quella alla Family house di Ai.Bi,. dove poter lasciare alle cure di latri il proprioper prevenire l’abbandono c’è la forte necessità di assicurare sostegno e assistenza alle donne in difficoltà rafforzando le politiche per la famiglia e per l’infanzia, favorire una maggiore integrazione e collaborazione tra attività ospedaliera e territoriale e assicurare una migliore presa in carico della madre e del bambino da parte di Consultori e Servizi sociali.

Fonte: http://www.lastampa.it/