Italia, volontariato: investi uno, raccogli 12

Un euro rimborsato ai volontari corrisponde a un ritorno economico di circa 12 euro.

È il risultato a cui sono arrivati due ricercatori dell’Istat, Sabrina Stoppiello e Massimo Lori, che su incarico del Cnel hanno approfondito un tema cruciale: la valorizzazione economica del lavoro volontario nel settore non profit.

Ad ottobre l’Ilo aveva varato il “Manual on the Measurement of Volunteer Work” e questa italiana è la prima applicazione concreta di quel modello studiato da Lester Salamon, direttore del Center for Civil Society Studies della John Hopkins University (il più importante centro di studio ed elaborazione a livello mondiale sull’economia sociale non profit).

La base della ricerca, che verrà presentata oggi a Roma, sono gli ultimi dati omogenei e attendibili: quelli del censimento dell’industria e dei servizi del 2001. E quelli del censimento delle istituzioni non profit del 1999, che ha rilevato le ore prestate da coloro che, all’interno dell’organizzazione, erano inquadrati come volontari.

 Il censimento prevedeva che ogni istituzione non profit indicasse il numero dei volontari distinti per la modalità di svolgimento dell’attività (saltuaria o sistematica) e per il numero medio di ore prestate nel mese di riferimento. Come spiegano Stoppiello e Lori, «è stato assegnato un valore economico al tempo offerto dai volontari, per ogni tipo di funzione che assolvono, in accordo con il costo che sarebbe necessario pagare qualora si acquistassero gli stessi servizi di mercato». È quello che tecnicamente viene definito “metodo del costo di sostituzione”.

Questo metodo richiede come primo passo di determinare l’ammontare delle ore di volontariato prestate, e di trasformarle in unità di lavoro equivalente (Ula).

Attraverso le informazioni fornite dal censimento delle istituzioni non profit è stato possibile arrivare a una stima complessiva del tempo offerto dai volontari pari a 701.918.839 ore, corrispondenti a 384.824 Ula (equiparabili a individui che lavorino full time per 38 ore settimanali e 48 settimane lavorative annue). I dati fanno base sul 1999, e quindi è molto verosimile che siano in difetto, visto che secondo la stessa Istat la propensione degli italiani a svolgere attività di volontariato è triplicata tra il 1993 e il 2008. Il metodo seguito poi prevedeva che venisse determinato anche il “salario ombra” più appropriato per remunerare il lavoro volontario, calcolato sul costo del lavoro per ogni settore. E per ogni settore la ricerca dettaglia con precisione tutte le singole voci, incrociando salari medi e numero di volontari coinvolti.

A quanto si arriva? 7.779 milioni di euro. Una cifra che sommata al valore della produzione del non profit porta il settore al di sopra del 4% del Pil. Se si sommano poi le “unità di lavoro equivalente” del volontariato (384.824) al personale retribuito impiegato (629.412 persone) si può ritenere che il settore non profit presentasse, al momento del censimento 1999, una capacità occupazionale di oltre un milione di addetti. L’ultimo passaggio della ricerca valuta costi e benefici e calcola l’efficienza degli investimenti nel non profit. Il metodo Viva (Volunteer Investment and Value Audit) mette in rapporto gli input finalizzati a sostenere il  volontariato con gli output. Gli input sono i costi di gestione dei volontari per il reclutamento, la formazione, i rimborsi spese, l’assicurazione…

L’output invece è il valore economico del tempo offerto dai volontari. Nel complesso, l’indicatore Viva è pari a 11,8: un euro investito ha un ritorno di quasi 12. Sono numeri che trovano conferma anche in altre due ricerche analoghe realizzate in alcuni Stati federali di Australia e Canada.