La fabbrica di morte, in una guerra in cui nessuno è vincitore

bambino siriaLa violenza chiama violenza. Le vittime diventano carnefici per vendetta e i loro carnefici diventano, di conseguenza, vittime a loro volta. E’ quanto avviene da più di 3 anni, in Siria, dove non ci sono buoni e cattivi ed entrambe le parti in lotta si macchiano quotidianamente di crimini orrendi. In una guerra in cui non ci sono vincitori, c’è chi è vittima due volte: gli innocenti, i bambini, le loro mamme, le loro famiglie, travolti dagli aspetti più sporchi e oscuri del conflitto che non vengono mostrati dalle televisioni.

Un recente reportage del “Corriere della Sera” fa luce sugli angoli più cruenti e nascosti della guerra civile siriana. Elio Colavolpe, l’autore del servizio, è stato ospitato per alcuni giorni da un gruppo di ribelli islamisti secondo cui “la vera rivoluzione avverrà solo quando Bashar al-Assad andrà via dalla Siria o verrà ucciso”.

Per avvicinare questo momento, essi stessi si occupano di fabbricare bombe contro l’esercito di Assad, in un luogo segreto nella provincia settentrionale di Idlib. Una casa piccola e bassa: all’interno nitrati di potassio e ammonio, fertilizzanti chimici per l’agricoltura, acidi e sostanze che, mescolati insieme, servono a produrre, al costo di 400 dollari, esplosivi in grado di distruggere tanks e cannoni da milioni di dollari. La casupola è una sorta di magazzino della morte, con inneschi, detonatori, radiocomandi e micce esplosive.

Il gruppo di ribelli che ospita il reporter del Corriere non ha il solo compito di produrre armi artigianali. Si occupa anche della caccia ai cosiddetti shabila. Questi sono i famigerati killer pagati dal governo di Assad per portare terrore nelle strade. Per pochi dollari al mese, uccidono donne e bambini, stuprano , torturano, si infiltrano nelle manifestazioni e sparano sulla folla. Dopo i bombardamenti dell’esercito del regime, arrivano loro a fare il “lavoro sporco”, casa per casa, a stanare i civili rimasti.

Quando uno di loro viene catturato da una formazione di ribelli, è ucciso sul posto oppure trascinato fino a una di queste postazioni nascoste e lì diventa vittima di torture per giorni interi e cavia per i veleni prodotti dai suoi aguzzini. I quali, a loro volta, sono stati tutti arrestati e torturati in maniera tanto brutale da non provare alcun sentimento nei confronti degli shabila che riescono a catturare.

Sotto gli occhi del reporter del quotidiano italiano, il giovane shabila prigioniero degli islamisti viene bendato, incatenato ai piedi, fatto sedere, legato a un palo e costretto a fare i nomi di altri shabila come lui. Poi le sue braccia vengono cosparse di veleno, destinato a entrare in azione entro un’ora. Quando capisce che anche il cibo che gli viene dato è avvelenato, sputa tutto quello che può e, giunto allo stremo, a notte fonda, fa i nomi. E sono quelli della sua famiglia: suo padre, suo fratello e sua sorella. Quindi viene sbendato e riportato nella cella improvvisata. Gli dicono che sarà liberato. Non è vero: verrà fatto salire su un automezzo carico di esplosivo e, seguito a distanza da un uomo munito di telecomando, sarà mandato incontro a un obiettivo e fatto saltare in aria.

Di tutto ciò è fatta la guerra civile siriana, di cui il mondo sembra essersi dimenticato. Tutto ciò avviene nella regione di Idlib, dove Amici dei Bambini è presente con i suoi progetti di supporto medico e di sostegno alle famiglie povere disposte ad accogliere gli orfani di guerra: bambini vittime due volte dell’odio che insanguina il loro Paese, nel quale rischiano di non poter più sopravvivere.

 

Fonte: Corriere della Sera