La Kafala? Non so quante coppie italiane l’accetterebbero

Buongiorno,

mi chiamo Ilaria e ho letto la notizia pubblicata sul vostro sito internet, riguardante l’appello al Ministro Kyenge, affinché si ricordi dei bambini dell’islam.

Per quanto concerne la kafala, io penso che essa non sia una vera e propria adozione. Anche se non è prevista nessuna conversione, il minore, per esempio, deve continuare a professare la propria religione e a mantenere legami con la famiglia d’origine (oltre che il cognome originale).

Mi sembra una situazione che confonde il bambino, perennemente diviso fra due mondi.

Il percorso adottivo mio e di mio marito, ci ha portato ad escludere questa forma di accoglienza e, anche se in Italia fosse stata possibile, non avremmo accettato.

Non so quante coppie italiane accetterebbero la kafala! Forse è più tollerata in paesi europei dove la presenza di immigrati e il processo di integrazione è ben diverso rispetto al nostro Paese.

 

Grazie

 

 

 

giudice100Cara Ilaria,

ho letto con molto interesse la sua osservazione.

Innanzitutto la kafala è, come previsto nella convenzione ONU del 1989, una delle misure di protezione dell’infanzia che la nostra legge dovrebbe riconoscere. Per questo è in generale doveroso introdurre in Italia norme che consentano di trattare in maniera egalitaria le diverse situazioni che si vengono a creare rispetto al trasferimento di minori in kafala dall’estero insieme agli adulti che ne hanno legalmente la responsabilità.

Quanto alle proposte che Ai.Bi. porta avanti da anni sulla necessità di riconoscere i provvedimenti di kafala e di trovare delle soluzioni legislative che consentano di trovare una famiglia stabile per i minore, è da sapere che queste sono sempre state riferite ad una realtà che l’Associazione conosce molto bene e da vicino, e che nulla ha a che vedere con la volontà di creare confusione per il bambino stesso: centinaia di migliaia di bambini  originari dei Paesi in cui l’adozione non esiste sono minori trovatelli e abbandonati alla nascita cui viene attribuito in molti casi un nome fittizio e dei quali non sono conosciute le effettive origini. Si tratta di bambini che vengono assistiti in istituti affollati dove non c’è un sistema di relazioni assimilabile a quello di una famiglia. Si tratta di bambini che passano l’intera loro infanzia e adolescenza senza avere contatto con alcuna famiglia di origine.

Per tutti questi bambini, considerato che in molti di quei Paesi l’unico strumento di accoglienza è la kafala, e considerato anche che le coppie della stessa nazionalità dei minori possono già fare entrare in Italia i bambini affidatigli in kafala con lo strumento del ricongiungimento familiare, è opportuno domandarsi: ha davvero senso impedire che anche coppie di nazionalità mista che hanno un minore in kafala lo facciano entrare in Italia solo perché uno dei due genitori kafil ha anche la nazionalità italiana? Ha davvero senso continuare a non riflettere sul fatto che i bambini non possono subire le conseguenze della incomunicabilità fra sistemi giuridici né essere condannati all’abbandono solo perché sono nati in un Paese anziché in un altro? Ha davvero senso infine continuare a chiudere gli occhi sul fatto che serve trovare soluzioni nell’unico interesse superiore da considerare, e cioè quello dei bambini stessi?

La soluzione c’è, ed è l’introduzione di un sistema caratterizzato da Autorità centrali dei due paesi, di origine e di accoglienza, come avviene per le adozioni internazionali dove è stato eliminato il fai da te e dove esistono regole da rispettare, uguali per tutti, per garantire  trasparenza e consentire le dovute verifiche dei singoli casi prima che i rapporti siano instaurati e messi a rischio.

Detto questo, si deve tenere presente che l’importanza di mantenere un legame con le tradizioni del paese di provenienza è un aspetto fondamentale dell’accoglienza di tutti i minori stranieri, e non solo di quelli in kafala. Concludere semplicemente che siamo davanti a due mondi diversi rappresenta una rinuncia a cui noi di Ai.Bi., nell’interesse dei bambini, non vogliamo arrenderci.

Un saluto

La redazione di Ai.Bi. News