La morte inaspettata dell’Africa

Bambini africaniArriva da Elena Magoni, volontaria espatriata di Ai.Bi. Nairobi (Kenya), la testimonianza di una perdita inaspettata: quella di un’amica e collega che come altre persone in Kenya, molti dei quali bambini, non hanno la possibilità di essere curati per mancanza di strutture e risorse adeguate.

Con la sua lettera aperta Elena Magoni vuole squarciare un velo di indifferenza e noncuranza per far sapere a tutti chi era Mildred. Non solo una giovane collega, già membro del Consiglio di Amministrazione di Ai.Bi. Kenya, ma una donna piena di entusiasmo per la vita e il suo lavoro.

“Mildred la prima persona che ho conosciuta in Kenya, una delle migliori amiche, una ragazza piena di vita, con un bellissimo sorriso e con tanti sogni, sogni di una ragazza di 31 anni di trovare un ragazzo, sposarsi, avere una famiglia, terminare i propri studi, venire con me in Italia in vacanza un giorno. Ci siamo incontrate a novembre del 2008 dopo due mesi che ero arrivata in Kenya e grazie a lei ho trovato subito delle amiche e una persona pronta ad ascoltarmi e condividere le difficoltà del mio lavoro. Abbiamo fatto cosi tante cose insieme, le uscite serali a ballare la musica africana, i pranzi veloci in town durante la pausa di lavoro, le cene e le gite…. Mombasa, Naivasha due mesi fa, il Tharaka a Pasqua che ci eravamo ripromesse di vedere insieme…. E le notti insieme a chiacchierare davanti a una tazza di tisana, le risate, le corse alla mattina per andare a messa ma ieri 2 giugno alle 2030 di sera tutto si è fermato. La vita terrena si è fermata per Mildred. Dio se l’è presa. Il pensiero di tutte le cose sognate e non fatte, i ricordi, le foto insieme, le parole….

L’altro ieri tu che mi dicevi “Elena questa non sono io” e chiedevi di chiamare il dottore perché stavi male… Non scrivo tanto per raccontare la sofferenza della mia amica keniota e il bene che le volevo, ma per denunciare l’inoperatività del sistema sanitario pubblico in questo paese e come una persona possa deperire e morire in un mese senza che le sia nemmeno stata diagnosticata la malattia. E’ stata ricoverata nell’ospedale pubblico di Nairobi il 4 maggio per dissenteria e malessere generale. Per ammetterla in ospedale ci sono voluti due giorni poi finalmente è stata ricoverata.

Nel giro di tre settimane ha cambiato almeno stanza 4 volte. Le stanze sono composte da un minimo di 12 persone, persone con ogni tipo di malattie, non esistono reparti specifici secondo il tipo di malattia, persone di ogni età tra cui anche ragazzini o bambini. Il cibo viene portato in ospedale dai parenti e dagli amici cosi come il thé e l’acqua calda. Durante le 3 settimane in cui è stata ricoverata in questo piano ne abbiamo viste di tutti i colori. Lei stessa mi raccontava di persone che morivano sole e senza nessuno al fianco. Un giorno mentre parlavo con lei mi son girata e la signora del letto accanto era morta. Mildred ha perso molti chili in ospedale, sembrava malnutrita potevamo vedere le sue ossa, la pelle si asciugava, il volto diventata sempre più scavato, il sorriso è lentamente scomparso dalle sue labbra e i suoi occhi era spenti e pieni di paura.

Durante queste tre settimana anche per i parenti non è quasi mai stato possibile parlare con un dottore. Nemmeno gli infermieri erano capaci di dare informazioni coerenti sugli esami che le venivano fatti. Hanno ripetuto spesso esami già fatti, poi un giorno hanno iniziato a darle le medicine per la tubercolosi senza nemmeno essere sicuri che fosse quella. Solo un esame che ha fatto è risultato positivo alla TB e cosi hanno pensato visto che non capivano cosa avesse di darle questa cura. Poi le hanno anche fatto l’esame del midollo osseo per vedere se aveva la leucemia, un esame dolorosissimo estraendo il midollo osseo dal petto e ci hanno detto che i risultati sarebbero arrivati in tre giorni. Abbiamo aspettato più di una settimana per scoprire che il midollo che avevano estratto non era sufficiente a mostrare dei risultati e ci hanno detto che l’avrebbero ripetuto. Questo esame fino a ieri non è più stato ripetuto nonostante le nostre continue richieste.

Spesso andavo in ospedale e Mildred aveva il letto tutto in disordine, una volta è rimasta per tre giorni senza lenzuola perché le lenzuola erano finite. Quando ha iniziato a non camminare più e la vedevo sempre più magra ho pensato che avrebbe potuto morire. Io non volevo che morisse così in quella stanza d’ospedale con altre 12 persone sola e che magari la paziente accanto a lei si accorgesse che fosse morta. Avevamo pensato di trasferirla in un ospedale privato ma quelli dell’ospedale pubblico ci hanno detto che era contro il loro parere e che non ci avrebbero rilasciato nessuna informazione sugli esami fatti e sulla sua cartella clinica. All’interno dell’ospedale pubblico esiste un reparto privato a pagamento e cosi abbiamo sudato e pagato caro per trasferirla. Una giornata e mezza spesa in ospedale solo per trasferirla dall’ottavo al nono piano. Quando la stavamo portando con la barella al piano superiore l’infermiera si è messa a risistemarle il letto come per mostrare la loro perfezione. Io le ho detto che non bisogna mostrare le cose diverse da quelle che sono e lei ha sottolineato quanto si fossero presi cura di lei. Io non ho mai visto una volta un’infermiera darle da bere o da mangiare se non c’eravamo noi sarebbe morta anche di sete. Mercoledì scorso l’abbiamo trasferita in questo reparto e abbiamo trovato un dottore per seguirla. Ora almeno aveva un ambiente dignitoso, una camera singola e infermieri che sembravano più attenti. Il dottore ha detto venerdì scorso che secondo lui stava migliorando e che non aveva ancora idea di quale fosse la diagnosi. Sabato sono andata a trovarla e secondo me stava peggiorando. La sua mente era confusa e non mangiava più. Mi chiedeva delle cose assurde, ma ancora mi riconosceva. Aspettavamo che ripetessero quell’esame del midollo osseo ma il dottore ha detto che non lo potevano fare perché i valori del sangue erano troppo bassi. Tutte le persone che ho incontrato, i parenti, gli amici, i medici, nessuno ha mai avuto il coraggio di dire che sarebbe potuta morire. Io l’ho detto, l’ho pensato, vedevo che andava verso la fine… La rabbia è troppo perché soprattutto un medico deve dire ai parenti, agli amici, al paziente che c’è un rischio….

Tutti dicevano “Vedrai che migliorerà”. Tante bugie, una storia di ospedale fatta di bugie, di disinteresse di parenti, di false speranze. Lunedi ho chiamato il dottore e gli ho chiesto “ma allora cosa state facendo” e lui mi ha detto che vedeva dei miglioramenti… dopo due giorni è morta. Il dottore ieri ha detto che è morta di leucemia ma non lo sanno perché quell’esame non l’hanno fatto è solo perché bisogna trovare una diagnosi quando una persona è morta, ma quando è viva nessuno che lotta per tenerla in vita. Io ancora non ci credo che è morta cosi e sono convinta che la sua morte è stata accelerata dall’incompetenza dell’ospedale, dalla poca pressione dei parenti, dalla speranza che Dio l’avrebbe salvata.

Ho scritto questa lettera aperta per denunciare la situazione in cui vive la popolazione africana, in cui vive la popolazione keniota. Tutto il sistema sanitario a pagamento, un ospedale pubblico nazionale in tutto il paese quello dove la mia amica è morta. La gente non ha diritto a farsi curare, non ha diritto alla verità, non ha diritto alla vita. Siamo a Nairobi la capitale del Kenya. Immaginiamo cosa succede nella zona rurale. Alzo la mia voce in nome di Mildred e di tutti quelli che ogni giorno muoiono come lei per cause non note e per l’indifferenza e la mancata assistenza. Scrivo per farvi capire quanto è importante quello che abbiamo, quanto siamo ricchi, cosa vuol dire andare in un ospedale ed essere ricoverato in una stanza con due, tre massimo 4 persone. Avere le infermiere che si prendono cura di te, che portano il thè, avere i medici che sembra abbiamo ancora un’etica professionale. La vita è troppo preziosa per mettersi a piangere sul latte versato, dei tagli di stipendio, degli aumenti dei pullman o dei treni. Non ci rendiamo nemmeno conto quanto sia prezioso svegliarsi la mattina, vedere la luce del sole, respirare aria pura, siamo presi dalle nostre mille cose ma fermiamoci un attimo. Io mi sono fermata ieri, ho odiato questa Africa che amo tanto, questa terra che si è presa la mia amica, questi diritti negati, questa rassegnazione. Non so perché Dio se l’è presa. Sono stanca di vedere famiglie spezzate dalla morte, bambini senza genitori, fratelli senza sorelle, mogli senza mariti, mariti senza mogli, amici senza amici….

Pregate per la nostra sorella africana affinché questa storia non diventi ordinaria amministrazione, ma un episodio a sé stante.

Parlate affinché questa gente abbia diritto alla vita e alla salute.

Lottate affinché non ci siano più morti inaspettate.

Ricordate affinché le persone morte rivivano tra noi.

Sorridete perché la vita è corta e preziosa ed ogni giorno vissuto è una grazia.