L’accoglienza “giusta”? Esiste, ed è quella che la Turchia cerca di dare ai rifugiati siriani

siriaturchiaDalla Turchia arriva una lezione di accoglienza che forse anche i paesi europei che, come l’Italia, si trovano ad affrontare l’afflusso continuo di profughi provenienti da zone di guerra, dovrebbero tenere in considerazione.

Sin dall’inizio del conflitto siriano, il governo turco ha optato per una politica delle “porte aperte”, che ha portato oltre un milione di rifugiati nel paese, di cui circa

220.000 distribuiti fra 22 campi situati nelle zone lungo il confine con la Siria, strutture di primo livello, considerate all’avanguardia rispetto agli standard mondiali.

Si stima che i fondi spesi fino a oggi per accogliere i siriani ammontino a 3,5 miliardi di dollari, di cui solo una minima parte è stata compensata da finanziamenti della comunità internazionale. Anche per queste ragioni, il governo turco, che finora aveva preferito gestire in autonomia la crisi umanitaria sul proprio territorio, sta aprendo in misura sempre maggiore alla collaborazione con le organizzazioni umanitarie internazionali, soprattutto per quanto riguarda i servizi di assistenza educativa e medico-sanitaria ai siriani che vivono nei centri urbani vicini alla frontiera, in forte stato di bisogno.

Di recente, ad esempio, il Ministero dell’Istruzione ha mostrato aperture sul tema dell’educazione, riconoscendo alcuni istituti scolastici siriani e garantendo l’equipollenza dei relativi certificati e titoli di studio rispetto al sistema turco. Similmente, è emerso proprio in questi giorni che il Ministero della Salute, dal 2011, ha speso ben 100 milioni di dollari in servizi di assistenza sanitaria per i siriani: solo nel 2013, ben 11.656 rifugiati hanno ricevuto cure mediche presso le strutture di 49 province del paese.

In generale, quasi tutti i siriani con cui ho avuto modo di confrontarmi sul tema, si sono detti grati e riconoscenti al governo turco per quanto ha fatto in questi anni a sostegno della popolazione siriana; qualcuno sostiene persino che, se i confini fossero rimasti chiusi, centinaia di migliaia di profughi che hanno trovato riparo in Turchia oggi sarebbero probabilmente morti, schiacciati dalla violenza del conflitto che infuria all’interno della Siria. Una novità di questi giorni, riferitami personalmente da alcuni amici siriani, riguarda un ulteriore gesto di apertura da parte delle autorità turche, che ora consentono l’ingresso nel paese anche ai rifugiati in possesso di passaporti scaduti: una misura che tiene conto, ragionevolmente, dell’impossibilità per molti siriani di ottenere il rinnovo dei propri documenti in patria, in special modo dove l’apparato statale è venuto meno.

Questa politica dell’accoglienza, tuttavia, presenta diverse problematiche che è giusto evidenziare: se da una parte, infatti, il governo turco ha contribuito a salvare le vite di migliaia di siriani, aprendo di fatto una “via di fuga” dal conflitto, dall’altra sembra non essere stato in grado di prendere tutte le misure necessarie a favorire la piena integrazione della popolazione siriana nei centri urbani, avendo probabilmente sottovalutato la proporzione e la durata del fenomeno migratorio. Questo sta causando un crescente malcontento fra la popolazione turca, che purtroppo ha portato anche a diversi episodi di discriminazione nei confronti di siriani.

C’è dunque ancora molta strada da fare, in termini d’integrazione, e non è un caso che, fra i temi principali al centro della campagna per le elezioni presidenziali del prossimo agosto, ci sia proprio la questione siriana, utilizzata soprattutto dal candidato dell’opposizione come un mezzo per screditare l’operato dell’attuale Primo Ministro, Recep Tayyip Erdogan.

Tuttavia, le basi per migliorare le condizioni di vita dei rifugiati nei centri urbani e favorire la loro convivenza con i turchi ci sono.

Innanzitutto, la stessa comunità siriana ha dimostrato di volersi integrare con la popolazione locale: una bella iniziativa a riguardo è stata realizzata da alcuni attivisti di Istanbul, che nelle scorse settimane hanno redatto e distribuito una sorta di manuale per educare i propri connazionali al rispetto degli usi e delle abitudini dei turchi.

Un altro aspetto importante da considerare è che i siriani risultano essere i maggiori investitori nell’economia turca: secondo i dati appena rilasciati dall’Unione delle Camere e delle Borse Merci di Turchia, ben 585 delle 2.331 imprese registrate nel paese durante il 2014 appartengono proprio a siriani. Anche in considerazione di ciò, alcune amministrazioni locali stanno già intraprendendo delle iniziative per agevolare l’ingresso dei rifugiati nell’economia formale e contrastare così la microcriminalità, l’accattonaggio e il mercato del lavoro nero.

Se dunque è vero che – come si è visto – non mancano le criticità, sembra di poter dire però che il governo turco, nell’affrontare questa difficile crisi, si stia comunque impegnando nel garantire a tanti bambini siriani e alle loro famiglie quell’accoglienza “giusta” che in paesi come l’Italia, in questo momento, purtroppo manca. E, cosa più importante, lo fa puntando sulla collaborazione con quelle organizzazioni che, come Amici dei Bambini, svolgono servizi di assistenza umanitaria considerati utili all’intera collettività.

Se vuoi dare anche tu il tuo contributo ai progetti di Ai.Bi. in Siria, per garantire ai bambini e alle famiglie siriane il diritto di sentirsi a casa, nel proprio Paese, visita il sito dedicato.