L’Avvento: all’improvviso Lui arriva, quando e come meno ce lo aspettiamo… di nascosto… e ci coglierà di sorpresa

Lead, Kindly Light
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Con l’inizio dell’Avvento, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del libro del profeta Isaia (Is 2,1-5), della Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 13,11-14) e del Vangelo secondo Matteo (Mt 24,37-44).

 

Il tempo dell’Avvento ci ricorda automaticamente, e giustamente, il Natale che si avvicina. La Parola di Dio di questa domenica, però, ci fa volgere lo sguardo su diverse forme della venuta del Signore Gesù, in particolare quella «alla fine dei giorni», come dice il profeta Isaia nella prima lettura.

Il profeta ‘vede’ un tempo in cui al «monte del tempio del Signore», il monte Sion, dove è costruita Gerusalemme e in essa il tempio di Dio, a questo monte accorreranno «tutte le genti».

Sarà un tempo di riconciliazione e di pace, in cui gli strumenti di guerra verranno trasformati in strumenti di lavoro: «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci». E aggiunge: «non impareranno più l’arte della guerra».

E Dio sa quanto abbiamo bisogno di pace in questo nostro mondo flagellato dalla violenza e dalla morte!

«Venite, saliamo … al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri».  I popoli di tutta la terra – questo ‘vede’ il profeta «alla fine dei giorni» – si inciteranno l’un l’altro ad andare verso il tempio di Gerusalemme, per ascoltare «la parola del Signore» e la sua Legge di verità e di grazia.

Il desiderio di Dio, della sua Parola e della sua luce, sarà l’anima e l’ispirazione di tutti i popoli della terra. Questa sua Parola, questa sua giustizia diventerà l’«arbitro» fra i popoli. Non ci saranno più ‘arbitrii’ perché il Signore sarà l’arbitro.

Il profeta conclude invitando il popolo di Dio a camminare anche lui, e ad andare verso il tempio, nella luce del Signore.

È il tema della luce, che s’accende nella notte e diventa guida del cammino e fonte di speranza, di gioia!

Ma quando sarà questa «fine dei giorni»?

Certo, sarà alla fine dei tempi, ma questa ‘fine’ è già cominciata … Siamo già in questo tempo della fine, il tempo in cui i popoli di tutta la terra sono chiamati a camminare e ad ascoltare «la parola del Signore». Questo nostro tempo è ‘teso’ tra questi due momenti: «la venuta del Figlio dell’uomo», come dice il Vangelo, e il suo ritorno.

La solennità del Natale ci chiede di fare memoria di questa venuta, ma il passato ci apre ad un futuro carico di speranza. Colui che è già venuto, ritornerà. Anzi, è già presente.

Il cristiano non è uno che vive di ricordi di un bel passato che fu e nemmeno di un’attesa che lo proietta fuori di questo tempo e di questa storia.

Il cristiano vive nel suo presente, il ‘presente’ e cioè il dono, di Dio!

È a questo tempo presente, attraversato da questo continuo rimando alla memoria e all’attesa, che ci fanno guardare il Vangelo e la seconda lettura, dalla lettera ai Romani.

Gesù dice, nel Vangelo, che «la venuta del Figlio dell’uomo» sarà come quella di un ladro, non certo perché egli sia un ladro. Gesù non viene per rubare, per «scassinare la casa», per violare la nostra intimità; non viene per portarci via nulla.

L’immagine del ladro è una metafora per dire che la venuta del «Figlio dell’Uomo», quella che c’è stata, quella che ci sarà, e quella che c’è ora, ci coglierà di sorpresa, sarà del tutto imprevedibile, non programmabile.

Da qui l’invito: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà».

È un paradosso: la vera preparazione alla venuta del Signore sta nel lasciarci sorprendere, nel non essere preparati, per accoglierlo quando e come lui arriva, per riconoscerlo quando arriva, sapendo che lui arriva quando e come meno ce lo aspettiamo. Arriva all’improvviso. Di nascosto.

Nel Vangelo Gesù usa un’altra immagine, stavolta presa dalla Sacra Scrittura: è l’immagine dei giorni di Noè, i giorni appena precedenti il diluvio.

Nessuno degli uomini, delle donne di quel tempo si accorse di quello che stava accadendo: «mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito».

Con queste parole Gesù ci richiama a non lasciarci intrappolare dalla superficie, dalle apparenze. Ci invita a vivere con intensità, con partecipazione, con uno sguardo profondo e responsabile.

Il tempo che ci è donato è un’occasione preziosa. Non c’è nulla di scontato. Il rischio, oggi, è proprio di rimanere alla superficie, senza accorgerci di ciò che questa ‘apparenza’ ci rivela.

Quanta gente, oggi – come ai tempi di Noè e ai tempi dell’uomo di sempre – rischia di vivere le cose di ogni giorno senza accorgersi davvero di ciò che sta accadendo.

Rischiamo di vivere con banalità, dimenticando che ciò che fa la differenza non sono (solo) le cose che accadono, le cose quotidiane, ma il nostro modo di viverle.

Come cristiani non ci è chiesto di rinunciare alle cose di ogni giorno ma, al contrario, di viverle con questa tensione, ‘nell’attesa’, per riconoscere il modo in cui Gesù ci viene incontro, nei volti delle persone che incontriamo, di chi ci sta vicino e di chi ci sta lontano.

Non viviamo nella banalità, dunque!

Nelle cose di ogni giorno noi decidiamo del modo in cui oggi noi accogliamo il Signore che viene. Lasciamoci sorprendere da lui («uno verrà portato via e l’altro lasciato»), non per vivere nella paura, ma per rimanere – ben al contrario! – nell’attesa vigilante!

La lettera ai Romani ci invita proprio a questo: a non dormire, a essere vigilanti. Certo, l’apostolo non ci dice, materialmente di non dormire la notte!! «E’ ormai tempo di svegliarvi dal sonno» è un’immagine simbolica: svegliarsi dal sonno è vigilare.

Vigilare è attendere «la salvezza, che oggi «è più vicina di quando diventammo credenti».

Non è solo un’indicazione temporale/cronologica. È un invito a vivere con sempre maggior profondità il dono della salvezza.

L’apostolo Paolo dà poi alcune indicazioni concrete, per comprendere che cosa significhi questa attesa vigilante: «comportiamoci onestamente». Non facciamo le cose di nascosto, come i ladri e i bugiardi.

E poi indica concretamente tre aspetti della vita buona: le «orge e ubriachezze», le «lussurie e impurità», i «litigi e gelosie».

Ci invita, l’apostolo, a non vivere lasciandoci ‘mangiare’ dalle cose, come lasciandoci ubriacare, come chi vuole sempre di più e non sa vivere ‘contento’ di quello che ha!

Ci invita a vivere con castità rapporti buoni e veri, nella famiglia, tra amici, nei discorsi e nelle parole – quanto turpiloquio invece c’è in giro! -.

Ci invita, soprattutto, l’apostolo, a non diventare vittime e schiavi delle gelosie e delle liti furibonde che nascono dalle gelosie!

Ci invita a essere uomini e donne di pace, oltre i conflitti. Uomini e donne capaci di apprezzare gli uni i doni degli altri.

Questo significa ‘camminare’ «nella luce del Signore»!