Le grandi paure dell’adozione. Lisa Trasforini (Ai.Bi) “Sotto i 6 anni è piccolo, sopra è grande: ma in realtà è una contraddizione”

brasileGeneralmente le segnalazioni provenienti dal Brasile sono di bambini con un età superiore agli 8 anni, considerati “grandicelli” dagli aspiranti genitori adottivi. Inoltre spesso fanno parte di fratrie numerose, anche di 4 o più fratelli, in cui possono essere presenti anche bambini di età prescolare.

Il tema dell’età spesso spaventa molto le coppie e in alcuni casi impedisce di vedere e di accorgersi che a 8, 9 o 10 anni si è sempre e comunque bambini, portatori di bisogni di cura e accudimento paragonabili a quelli di bambini molto più piccoli e che sono tipici di una fase di “rinascita”, tecnicamente chiamata “regressiva”, che tutti i bimbi dell’adozione prima o poi sperimentano quando fanno ingresso nella loro nuova famiglia.

Abbiamo chiesto il parere a Lisa Trasforini, Psicologa e psicoterapeuta di Ai.Bi che entra nel merito degli aspetti psicologici:

L’espressione ‘bambino grande’ appare, di primo acchito, quasi una contraddizione in termini – dice – l’immagine associata alla parola bambino per chi si approccia alla genitorialità inizialmente non può che avere le sembianze di un paffuto neonato o di un piccoletto che tende le manine e ha bisogno di essere nutrito, vestito e coccolato”.

L’approccio all’adozione implica un lavoro di ristrutturazione, non una semplice sostituzione, di questo immaginario – precisa – che prevede la maturazione di un approccio profondamente differente, nel quale non è più il bambino ‘che nasce dal genitore’ ma è il genitore ‘che nasce dai bisogni del bambino’ pertanto l’idea di adottare i bambini più cresciuti non può che essere vissuto inizialmente con fatica”.

A questo punto la psicologa di Ai.Bi pone una domanda fondamentale. “Quando un bambino è piccolo e quando un bambino è grande? La grande suddivisione che talvolta tranquillizza le coppie è ‘sotto o sopra i 6 anni’, età che sembra essere percepita come confine tra un bambino con il quale tutto è ancora possibile e un bambino ‘già formato’.

Tutto questo è in parte vero – precisa –  ma la complessità va ben oltre. I bambini vissuti in condizioni di deprivazione e di disorganizzazione vivono uno sviluppo meno lineare dei coetanei che hanno invece sperimentato un attaccamento sicuro e una corretta risposta ai loro bisogni, ma non esistono formule predittive che, inserendo tutte le variabili, ci possano fornire un risultato certo, neanche l’adozione di un neonato”.

Ciò che fa differenza nell’adozione, ciò che può rendere le adozioni “un successo” è quella forma di amore consapevole e di senso reciproco di appartenenza che permette quindi al bambino di sentirsi amato e di sentirsi importante trovando nella sua famiglia quel luogo sicuro dal quale ripartire per affrontare il mondo, laddove le difficoltà sono passaggi e la scelta di essere genitori proprio di quel bambino trasforma l’anima e la psiche.

Il messaggio che un bambino al primo incontro deve ricevere – continua – è quello di essere atteso, di essere stato pensato e di sentirsi sicuro, di avere delle braccia pronte ad accoglierlo, ma rispettando i suoi tempi e la sua capacità di dare confidenza”.

La psicologa si sofferma anche sul tema della lingua. “Conoscere un altro idioma, conoscere in questo caso il portoghese è un valore inestimabile; se anche il bambino mostra la sua volontà a mantenerla, non facciamo i gelosi, non opponiamoci, ma lasciamo che le loro radici culturali continuino a vivere e a crescere. Sono e saranno per tutta la famiglia un grande dono e un meraviglioso arricchimento”.

Ci sarebbero molte altre cose di cui parlare (la cultura, la scuola, l’appartenenza ad un gruppo…) “perché milioni sono i caratteri, le esperienze, i sentimenti provati da questi nostri figli. Ma il vero segreto (e consiglio) è : Avviciniamoci a loro con il cuore, con grande umiltà, con coraggio e decisione, con rispetto, con la consapevolezza soprattutto di essere una nuova famiglia, una famiglia nuova”.