Mare Egeo. Nuovo dramma dell’immigrazione: 15 bambini affogati. Come fermare la strage degli innocenti?

naufragio bambiniDonne e bambini che urlano disperati, assaliti dalla paura di affogare e travolti dalle onde create da raffiche di vento a 30 nodi, nel buio azzurrino prima dell’alba. Se si dovesse descrivere una “strage degli innocenti” del terzo millennio, probabilmente la scena sarebbe questa. Una scena divenuta drammaticamente realtà nelle prime ore di domenica 13 settembre. Siamo nella zona meridionale del mar Egeo, al largo dell’isola greca di Fermakonissi. Più che un’isola, uno scoglio quasi disabitato di 3 chilometri per uno e mezzo, dove vive soltanto una decina di militari. In questo punto, la costa turca è distante non più di 15 chilometri. Le 120-150 persone che qualche ora prima erano salite su una delle tante barche di legno fatte partire dai trafficanti di uomini verso l’Europa avranno pensato che ad attenderli c’era una traversata piuttosto breve. Ma anche il loro viaggio, come troppi altri che conducono masse di disperati dal Nord Africa o dal Medio Oriente verso l’Unione Europea, si è tramutato in tragedia. Almeno 34 i morti accertati, tra cui 15 minori: 6 bambini, 5 bambine e 4 neonati. E il bilancio potrebbe aggravarsi perché neppure i superstiti – 68 tratti in salvo dalla guardia costiera greca e una trentina che ha raggiunto a nuoto le coste dell’isola – sanno dire con precisione quanti migranti ci fossero a bordo: si va da chi dice 120 a chi sostiene 150. Per questo le operazioni di soccorso sono proseguite per tutta la giornata di domenica e la notte successiva e hanno permesso di ritrovare i cadaveri delle vittime, compresi i 15 bambini e 8 migranti chiusi all’interno della stiva.

Di certo, quella vecchia barca in legno non era in grado di trasportare così tanta gente. Tanto da ribaltarsi a meno di 3 miglia dalla costa e dare la morte ad almeno 34 dei suoi passeggeri: uomini, donne e bambini costretti a viaggiare ammassati l’uno sull’altro, alcuni abbracciati, con le madri che stringono i loro figli. In questo tratto di mare, tra Samos e Kos, i trafficanti di uomini trasportano ogni giorno centinaia di profughi, soprattutto siriani, dalla Turchia alla Grecia, a bordo di barche sovraccariche e senza alcun tipo di sicurezza. Chi vi sale si deve procurare da sé un salvagente. E neppure quello può essere garanzia di salvezza se ci si ritrova chiusi sottocoperta. Facile immaginare, quindi, come le stragi siano un rischio quotidiano. I 15 bambini rimasti vittime dell’ultimo naufragio si aggiungono infatti ai 4 scomparsi tra le onde il giorno prima, vicino a Samos. Ed è stato solo grazie agli abitanti di Lesbo che si sono tuffati senza esitazione per salvarli, se, poche ore prima, non hanno perso la vita altri 70 migranti, tra cui diversi bambini e un neonato, naufragati a bordo di 2 gommoni al largo dell’isola.

Nel frattempo, decine di migliaia di siriani, afghani, iracheni, pachistani e africani sono in cammino dalla Macedonia verso l’Ungheria, attraverso la Serbia. Nel Paese magiaro, in 24 ore sono entrati più di 5mila profughi che tentano di raggiungere l’Austria, la Germania e i Paesi del nord Europa. Il centro di accoglienza di Presevo, in Serbia, accoglie qualcosa come 3mila profughi.

Le drammatiche traversate del Mediterraneo, che troppo spesso sostituiscono la speranza con la morte, e i centri perennemente al collasso non possono essere la via per il futuro di migliaia di bambini e famiglie siriane. Per questo, Amici dei Bambini è impegnata direttamente in Siria nel tentativo di permettere alla parte più fragile della popolazione locale di sentirsi a casa nel proprio Paese. Nonostante la guerra, Ai.Bi. lavora ogni giorno nel nord della Siria per garantire il diritto al gioco, alla salute, alla casa, al cibo, allo studio. Un obiettivo raggiungibile solo se ognuno di noi non resta a guardare e decide di compiere un gesto concreto: un Sostegno a Distanza a favore del progetto “Io non voglio andare via”. Perché il futuro dei bambini siriani può partire solo da casa loro.

 

Fonti: Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa