Mediterraneo. “Nelle nostre reti non c’erano pesci, ma cadaveri”: la scena di orrore che si presenta ai pescatori laddove i migranti perdono vita e speranze

naufragioQuello che per i pescatori è sempre un momento di sollievo, perfino di gioia o quantomeno di soddisfazione per gli sforzi e i sacrifici compiuti, nel Mediterraneo rischia di diventare sempre più spesso una scena di orrore e disperazione. Come è successo a una barca che pescava a circa 12 chilometri al largo della foce del Nilo. Sentendo degli strattoni alle reti calate in mare, l’equipaggio ha immaginato le maglie gonfie da quintali da pescato. Ma quando ha issato le reti a bordo è passato in un attimo dall’illusione al pianto. Non aveva preso pesci, ma cadaveri. Dodici per la precisione.

Vittime del naufragio avvenuto mercoledì 21 settembre al largo delle coste egiziane.  Morti che si vanno ad aggiungere ai corpi senza vita già recuperati nelle ore immediatamente successive alla tragedia. Al momento le persone decedute sarebbero 51, tra cui anche alcuni bambini. Il bilancio è destinato a salire. Le persone tratte in salvo sono solo 165, ma a bordo dell’imbarcazione naufragata si trovavano oltre 400 persone, stando alle testimonianze dei sopravvissuti. All’appello ne mancano più di 200 che risultano ancora dispersi.

Nel frattempo, ascoltando e incrociando i racconti tra i migranti sbarcati sani e salvi, emergono i particolari e le cause della tragedia.  Il barcone sarebbe stato tenuto al largo delle coste egiziane per 5 lunghi giorni. Nel frattempo venivano portati a bordo sempre più persone. A un certo punto, da un vecchio peschereccio, sono stati trasbordati almeno altri 150 migranti tutti insieme. Al termine dei 5 giorni, a bordo di un’imbarcazione che poteva contenere al massimo 150 passeggeri, se ne sono trovati più di 400. Si continuavano a caricare migranti anche quando la stiva era ormai già stracolma. Più persone salivano, più il baricentro del peschereccio si spostava. Fino a provocare il ribaltamento e la tragedia.

“Ho perso 2 miei figli”, ha detto un egiziano sulla riva, mentre continua a vedere arrivare cadaveri e spera almeno di poter dare sepoltura ai suoi cari. Tra i 165 sopravvissuti, la maggior parte è egiziana, ma non mancano sudanesi, somali e siriani.

Questi ultimi, generalmente, migrano a gruppi famigliari. Ed è probabilmente tra loro che l’infanzia finirà per pagare il prezzo più caro di questa ennesima tragedia del mare. Ancora una volta, quindi, il mare, per i bambini, si è rivelato un luogo di morte e non di divertimento, come dovrebbe essere.

Ecco perché Amici dei Bambini ha voluto rafforzare il proprio intervento in Siria, impegnandosi nella costruzione di un nuovo ospedale pediatrico. Il primo in assoluta sicurezza, ricavato sotto una collina. Un luogo attrezzato, con professionisti preparati, in cui le piccole vittime della guerra possano ritrovare la salute, la serenità e la speranza nel futuro. Senza dover sfidare quel mare che troppo spesso riserva loro la morte. Per aiutarci a vincere questa sfida, dona fino al 3 ottobre 2 euro con un sms oppure 2 o 5 euro con una chiamata da rete fissa al numero 45507 a favore della campagna Bambini in Alto Mare!

 

Fonte: Avvenire