Morire per una fecondazione assistita, inseguendo il sogno di un figlio

Cristina, con il marito Stefan, era andata in Moldavia per eseguire un intervento di fecondazione assistita. Qualcosa, però, è andato storto, e la donna è morta in ospedale in circostanze tutte ancora da chiarire

Si può morire di parto. È successo chissà quante volte in passato e continua, purtroppo, a succedere ancora oggi. Ma, a volte, si può morire anche inseguendo il sogno di arrivarci, a quel parto. È successo a Cristina, trentenne di origini moldave che, insieme al marito Stefan, si era recata a Chisinau per effettuare la fecondazione in vitro presso una nota clinica della città.

Le complicazioni durante l’intervento di fecondazione in vitro

Durante l’operazione di prelievo degli ovociti, però, qualcosa è andato storto, Cristina ha avuto delle complicazioni e, poco dopo, è morta, senza che il marito Stefan sapesse cosa stava succedendo. Secondo il Corriere della Sera, edizione di Torino (la coppia risiedeva da anni a Chivasso, vicino al capoluogo piemontese) il problema potrebbe essere stato un errore nell’anestesia, ma si attende l’autopsia per saperne qualcosa di più. Sempre il Corriere riporta di qualche segnale “strano” che ci sarebbe stato durante l’elettrocardiogramma eseguito prima dell’operazione, dopo il quale i medici, però, effettuato un nuovo esame, avrebbero deciso di proseguire ugualmente.

Servirà tempo per capire le cause della morte e ne servirà ancora di più a Stefan e la famiglia di Cristina per superare il dolore di una morte ancora più crudele nel momento in cui è arrivata… cercando la vita.
Poco importa, in fondo, l’insistenza dei giornali sul fatto che i due si fossero recati in Moldova perché, lì, la fecondazione in vitro costa cinque volte meno che in Italia: ogni famiglia fa le sue scelte e ogni desiderio di avere un figlio va rispettato e capito nella profonda intimità di chi lo matura, lo custodisce e lo insegue con caparbietà, nonostante le difficoltà.

Certo, può venire anche da pensare, dall’esterno, che in questo caso aprirsi all’adozione avrebbe forse potuto salvare non una, ma due vite. Ma, come si dice, ragionare a posteriori è troppo semplice e presuppone troppi “se”. Come quel grosso “se” che fa sospettare che una fecondazione in vitro in una clinica moldava possa essere più economica e rapida di un’adozione… E questo è un interrogativo che va ben al di là della vicenda di cronaca della povera Cristina.