Nepal, Hukuma,10 anni: “Ho le mani tumefatte? Per forza, sono una Dalit!”

nepal rocce newsSeduta per terra a gambe incrociate per quasi tutto il giorno, con davanti a sé tante pietre da spaccare. La piccola Hukuma ha dieci anni e invece di sedersi davanti a un banco di scuola, passa le sue giornate a rompere rocce.

Nonostante le sue piccole manine siano tumefatte e malconce, i suoi occhi brillano al solo pensiero di poter guadagnare abbastanza soldi per potersi comprare un kurta salwar rosso, l’abito tipico delle popolazioni del sud-est asiatico.

E a chiunque le chieda perché non va a scuola, risponde: “I miei genitori non possono regalarmi il vestito dei miei sogni. Mi hanno detto che se lo volevo, dovevo cavarmela da sola. Vediamo quanto riesco a guadagnare”.

Hukuma proviene da una famiglia Dalit, letteralmente ‘intoccabili’ o ‘oppressi’, i cosiddetti ‘fuori casta’ all’interno del sistema sociale e religioso induista, fra i più emarginati e poveri della società nepalese. La piccola vive con i genitori nel piccolo nel villaggio di Jaspur, nel Distretto della Rolpa, nel cuore del Nepal.

E sogna di partecipare al Festival di Teej – una festa popolare riservata alle donne – indossando almeno una volta il kurta salwar, e sta facendo di tutto per poterselo comprare.

Per ogni scatola di latta riempita di frantumi di pietra, la piccola guadagna trenta rupie nepalesi, venti centesimi di euro. E quando, a fine giornata, non riceve il suo “salario”, non può far altro che sperare e aspettare che il giorno dopo o chissà quando il suo datore di lavoro la ricompensi delle sue fatiche.

Ogni mattina, si sveglia presto, e armata di martello si dirige verso la mina di pietre con il suo pranzo al sacco. E lavora instancabilmente dall’alba al tramonto, con in mente il suo obiettivo: il suo vestito nuovo, rosso.

Ma non è solo quell’abito che costringe Hukuma in miniera. In realtà col suo lavoro, contribuisce a far quadrare i conti della famiglia a fine mese.

I suoi genitori sono talmente poveri che la piccola non ha potuto frequentare nemmeno il quarto anno di elementari in una scuola pubblica locale. “Raramente vado a scuola. E durante le vacanze, anziché recuperare lo studio, devo lavorare di più”, dice.

Hakuma è solo una delle tantissime vittime del lavoro minorile, costrette dalla grave povertà a lavorare anziché andare a scuola. Nonostante i dati diffusi dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) siano incoraggianti e segnino una flessione del 31 per cento rispetto al 2000, sono ancora moltissimi, troppi, i bambini a cui viene rubata l’infanzia nei campi, in miniera, nelle fabbriche.

 

Fonte: myrepublica.com