Non c’è modo più bello di festeggiare il Natale se non quello di farci “convocare” dall’Eucarestia

nativitaIn occasione del Santo Natale del Signore, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del Libro del profeta Isaia (Is 52,7-10), della Lettera agli Ebrei (Eb 1,1-6) e del Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,1-18)

 

Anche quest’anno è Natale!

Anche quest’anno noi cristiani continuiamo a celebrare il Natale, continuiamo a fare festa. E il cuore della nostra festa è questa celebrazione dell’Eucarestia.

Certo, la festa ‘trabocca’ anche ben fuori di questa chiesa, delle nostre chiese, in mille modi – le luci, i pranzi, gli auguri, il presepe, l’albero, i regali, i canti e altro ancora! -, la festa trabocca al punto che festeggiano il Natale anche moltissime persone che non sanno neppure chi fosse Gesù e magari per questo si ostinano a negarlo.

Non c’è modo più bello e vero per celebrare il Natale se non quello di lasciarci convocare dall’Eucarestia, che è la memoria della Pasqua di Gesù, quel piccolo bimbo, nato in un oscuro villaggio della terra, in mezzo a un piccolo popolo che abitava in una terra ancora oggi travagliata e senza pace, la Palestina, Israele.

Di quel piccolo, tenerissimo bambino noi oggi celebriamo il Natale, in un mondo afflitto e travagliato da tanti drammi, da tanto odio, da tante ingiustizie, da tanta miseria, non solo economica, ma anche morale, spirituale.

Saremmo in imbarazzo se anche solo volessimo fare un elenco dei ‘buchi neri’ della storia di oggi, quella più vicina a noi: pensiamo alla guerra in Siria, pensiamo al dramma dei migranti e dei profughi – con tutta la miseria che gira attorno a questo ‘traffico’ umano! -, pensiamo all’ultimo orribile attentato di Berlino, un attentato che si inserisce in una strategia del terrore, da parte di un sedicente ‘stato islamico’. Una barbarie inaudita. Una strage contro innocenti che compravano al mercatino di Natale, a Berlino.

È una scena simbolica terribile.

Anche da noi, quanti mercatini di Natale ci sono, anche se ormai moltissimi di quelli che li affollano, del Natale non sanno più nulla. E a Berlino, un criminale si getta con follia omicida su questa folla, tanto simile alla folla che si accalca nei nostri mercati e nei nostri negozi e nei nostri ‘centri di vendita’, oramai sparsi in tutto l’occidente.

Ecco verrebbe da chiedersi, come è possibile ancora celebrare il Natale? Non siamo degli illusi, noi cristiani?

Certe volte sembriamo una specie in via di estinzione. Anche in Europa, soprattutto in Europa, in questo nostro mondo che è stato per molti aspetti la ‘culla’ del cristianesimo, a partire da Roma …

Ha ancora senso celebrare, nei drammi della storia, in tutto il mondo, nei drammi personali che ancora ci colpiscono, dalla malattia alla morte, ha ancora senso celebrare il Natale?

È una domanda che facciamo a noi stessi, è una domanda che ci facciamo gli uni agli altri, sgomenti, è una domanda che rivolgiamo a Dio, al nostro Dio!

C’è una bellissima preghiera nella liturgia, tratta dal canone quarto, che dice «Padre santo, hai tanto amato il mondo da mandare a noi, nella pienezza dei tempi, il tuo unico Figlio, come Salvatore».

Ecco, in queste parole c’è la risposta di Dio alla nostra domanda.

Dio ha tanto amato, ama tanto questo nostro mondo, che, per pura grazia, è entrato nella nostra storia, per essere il Dio-con-noi.

Di questo è testimone la Chiesa; noi cristiani siamo chiamati a dirlo a tutti, con franchezza e coraggio, che questa è la nostra speranza.

Questa è la ragione della nostra gioia. Dio non si stanca da questo nostro mondo, inquieto, piccolo, violento, ma ci circonda di un amore ‘impossibile’.

La lettera agli Ebrei, al suo inizio, nella seconda lettura, dice: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio …». Quante volte Dio aveva parlato, inascoltato, con i suoi profeti, nella storia di Israele!

Uno di questi, Isaia, lo abbiamo ascoltato, nella prima lettura. Lo abbiamo ascoltato in un canto prorompente di gioia, traboccante di giubilo.

Diceva questo profeta a un popolo che stava in esilio e che vedeva Gerusalemme ridotta in rovina, come tante città ancora oggi distrutte dalla guerra, dal degrado, dalla violenza: «Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme».

Era forse un visionario, questo profeta? Era un pazzo?

I pazzi sono gli assassini, tutti quelli che fanno del male al loro prossimo, quelli che si lasciano vincere dall’odio. Non i profeti.

Eppure, anche oggi, gli uomini non ascoltano i profeti, che parlano loro in nome di Dio! In quanti modi, ancora oggi, Dio continua a parlarci.

Dice il bellissimo Prologo del Vangelo di Giovanni: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio». Noi abbiamo lasciato la parola ‘Verbo’ (dal latino ‘verbum’), che però non significa affatto ‘verbo’, ma parola. In greco, la lingua in cui è stato scritto il Vangelo di Giovanni, c’è ‘logos’.

“In principio, dunque potremmo tradurre così, era la Parola e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio”.

Dio è Parola.

Parola di comunione, perché ogni parola suppone inscindibilmente qualcuno che parla, qualcuno che ascolta, e la parola stessa che viene detta, e in questo possiamo trovare una pallida immagine della Trinità di Dio.

Ebbene, dice ancora il Prologo di Giovanni, a un certo punto della storia, questa Parola che era presso Dio, ha deciso, ha preso una iniziativa assolutamente libera e imprevedibile: «E il Verbo – la Parola – si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». È venuta tra noi, la Parola, facendosi carne, facendosi uomo come noi.

E quando guardiamo questo bimbo, nella mangiatoia, in questo giorno di Natale, dobbiamo fare memoria che quello lì non è un bimbo qualsiasi – per quanto tutti i bambini siano così belli! – ma è la Parola che si fa carne, è il Figlio, colui che ascolta e riceve ogni parola del Padre, che viene in mezzo a noi: «Dio ha tanto amato il mondo da mandare a noi, nella pienezza dei tempi, il suo unico Figlio come salvatore!».

Ecco, il tempo oramai si è fatto pieno, è riempito della luce di Dio, della sua vita che è luce traboccante.

Dice ancora il Prologo di Giovanni: «in lui, cioè nella Parola, era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno accolta».

Nelle nostre tenebre, che sono le tenebre del peccato, del rifiuto di Dio, le tenebre del male e dell’odio, in queste tenebre brilla una luce: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo», dice ancora Giovanni. Anche la Parola, il Figlio, la luce, la vita, ha fatto l’esperienza del rifiuto.

Allora, come oggi.

Ma non per questo noi dobbiamo tacere e smettere di annunciare questa Parola: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio». Nel Figlio, se lo accogliamo, anche a noi è dato di diventare addirittura figli di Dio!

Come accade tutto questo, se non per grazia?

La verità di Dio è la sua grazia!

Giovanni scrive che «noi abbiamo contemplato la sua gloria, … pieno di grazia e di verità». E ancora: la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo».

Ecco, il Natale è la festa della grazia che trabocca dalla vita divina e si fa carne, illuminando la nostra storia e la vita personale di ciascuno di noi.

Questa è una bella notizia.

Facciamoci anche noi, come dice Isaia, fatti anche tu, «messaggero di buone notizie». Alza la voce, esulta, canta di gioia!