Paolo e Cristina Pellini: «L’affido ci ha fortificato e unito ancora di più. Condividere la propria esperienza aiuta a superare molte difficoltà»

pellini_coppia200Un figlio sano che cresce senza grilli per la testa; un secondo che non arriva, il lavoro che va a gonfie vele, la casa nuova. L’impegno di Paolo e Cristina Pellini come famiglia affidataria inizia nel 2003: all’epoca era un voler dire grazie al pieno di felicità che stavano vivendo. Dieci anni dopo, il loro percorso all’interno dell’associazione Ai.Bi. li vede neocoordinatori delle famiglie della Lombardia, con Cristina membro del consiglio direttivo e referente a livello nazionale della Commissione ‘Relazioni familiari e Diritto’ nel Forum delle Associazioni Familiari.

Ma è la loro storia personale e di coppia, il vero successo. Agli schiaffi della vita hanno reagito rilanciando, proprio perché nel frattempo i loro valori di riferimento sono cambiati.

Sorride Cristina: «Io ero una che teneva tantissimo alla casa: il mio parquet wengè, guai se c’era un segnetto.  Adesso quando vedo una nuova patacca, sorrido e ripeto: -Se fosse capitato anni fa, che scena patetica sarebbe stata!». Suo marito Paolo rilancia: «Questa società ti spinge all’individualismo: il lavoro, la bella casa, la macchinetta, il fine settimana e i soldi.  Solo che non sai più quanto è passione per il lavoro e quanto invece è desiderio di accumulare. Noi a un certo punto abbiamo deciso di dare un taglio netto, rifondare la nostra famiglia su altri valori.Diversamente il rischio è quello di ritrovarsi vecchi e di non capire che senso ha avuto la propria vita».

All’inizio è bastato cambiare quartiere.  Dalla Milano bene al quartiere periferico di Affori, dove da due generazioni abita la famiglia di Cristina, originaria della Puglia. Ricorda Cristina: «Per i primi sette anni di matrimonio abbiamo vissuto in un quartiere del centro Dove o sei l’ingegnere, l’architetto, il medico, o non sei nessuno. Non eri tu, eri quel che facevi. E noi eravamo l’architetto Paolo Pellini e consorte. Ci andava stretta questa cosa. Adesso nella nostra comunità siamo solo Paolo e Cristina».

Il far parte dell’associazione Amici dei Bambini è ciò che li identifica agli occhi di molti. L’impegno in Ai.Bi. si riflette fuori, ma solo perché trasforma dentro. Paolo racconta con voce piana gli ultimi mesi travagliati:« Da lavoratore autonomo,ho avuto un calo di lavoro. Siamo riusciti a relativizzare questa situazione che in un altro momento della nostra storia ci avrebbe destabilizzato». E aggiunge: «L’affido ci ha aperto la visuale sul mondo dei bimbi in difficoltà. Quando incontri il dolore innocente, ti cattura per tutta la vita e i tuoi problemi o pseudo-problemi  passano in secondo piano». Quanto all’attività nell’associazione, Paolo non ha dubbi: «Ci è servito tanto a mantenere un focus sul fare, sull’impegno e sul darsi».

Mentre parlano, seduti su una panchina nel giardino della sede di Mezzano, Cristina accarezza a intervalli regolari l’uomo con il quale ha disegnato, prima di tante case e palazzi,  la sua vita. E le parole, nel passaggio da uno all’altra, scavano nella loro verità. Per Cristina: «La vita non può essere solo lavoro. E’ importante, ma non può essere la ragione che ti manda in crisi e ti fa perdere la tua identità». Paolo annuisce:« Negli anni passati spesso non capivo bene che cosa stessi facendo e perché. Passavamo intere giornate a rifare disegni per spostare una parete dieci centimetri più in là. Adesso la nostra vita è molto più appagante, perché ha un senso ben preciso. La voce dei bambini abbandonati noi la sentiamo e  la consideriamo la missione della nostra vita. Tutto quello che facciamo fa perno su questo».

E’ schietta, questa coppia di mezza età. Lei con i capelli raccolti da un fermaglio, lui vestito con jeans e maglietta di cotone, si raccontano senza imbarazzi, sapendo bene di parlare degli stessi problemi che vivono- con disperazione o peggio vergogna- tante famiglie italiane. La capacità di condivisione, i Pellini se la giocano a piene mani anche nel loro nuovo incarico di coordinatori del movimento delle famiglie adottive e affidatarie della Lombardia.

Afferma Cristina: «Il modello della famiglia autosufficiente non porta a nulla, noi abbiamo nel nostro gruppo locale tutte le tipologie di famiglia: famiglie adottive, affidatarie e biologiche. Il fatto di avere le tre tipologie di famiglia porta a un senso di normalità che dà un respiro importante. Spesso i genitori adottivi tendono a legare i problemi del figlio all’adozione. Se invece ci si confronta e scopri che anche la famiglia biologica è alle prese con gli stessi problemi adolescenziali dei figli, tutto torna nella norma. E capisci che si è semplicemente famiglie».

Per la famiglia Pellini, l’impegno associativo procede a passo con quello personale, e così dopo un primo affido durato quattro anni di due sorelline, vogliono aggiungerne un secondo. «Quando a cena ti siedi per progettare un nuovo affido, capisci che davvero la vita va oltre»- racconta Cristina. E ripete: «Visto da fuori, l’affido è un darsi senza limiti. E’ vero: ci sono tanti problemi, discussioni con i servizi sociali, stanchezza, ma possiamo dire che la nostra vita è migliorata: ne siamo usciti più uniti e forti. E poi hai la certezza che l’affido è utile: noi abbiamo la certezza di essere un punto di riferimento per le bambine che hanno vissuto in casa nostra. Abbiamo passato loro valori importanti: non è un caso se, ormai adolescenti, hanno una voglia matta di costruirsi una famiglia».